Pedro Almodóvar: “The Room Next Door a favore dell’eutanasia. Devi essere padrone della tua esistenza”

Tilda Swinton e Julianne Moore sono le protagoniste assolute del film in Concorso, dal romanzo 'What Are You Going Through' di Sigrid Nunez: “quando giravamo nella casa nel bosco mi sono sentito che fossimo noi tre, più la morte, era come una presenza”, racconta il regista spagnolo


VENEZIA – La vita e la morte, come la neve in Gente di Dublino, sì perché Pedro Almodóvar sceglie di tornare poeticamente, simbolicamente e esteticamente su Joyce con la sua protagonista, Martha (Tilda Swinton), malata terminale di tumore alla cervice, reporter di guerra, mamma di Michelle (Tilda Swinton), partorita in adolescenza, con cui “a stento ci sentiamo: non le sono mai interessata come madre”, dice a Ingrid (Julianne Moore), scrittrice, amica dei suoi vent’anni, per cui “la morte è innaturale”, ma qui risponde alla chiamata di essere la persona scelta per accompagnare verso la fine della vita.

Per Almodóvar “è difficile parlare della morte e il veicolo giusto per la tematica sono state le pagine di What Are You Going Through di Sigrid Nunez, il libro era adattabile ma mi sono legato a un capitolo con il personaggio di Julienne, e ho sviluppato a partire da lì: loro sono donne di una generazione che conosco, e non è un’analisi della società americana, ma so come trattare due signore di quel periodo. Sono nato nella Mancha, in cui c’è una grande cultura sulla morte, estremamente umana: è più una cultura femminile. Io personalmente sono più vicino al personaggio di Julianne, non comprendo come qualcosa che è vivo debba morire. Sono infantile e immaturo nella mia percezione, perché la morte è dappertutto, ma non l’ho compresa completamente. Credo di essere ottimista: una delle migliori scrittrici contemporanee, Almudena Grande, mi ha dedicato un libro e scritto: “l’allegria è la miglior resistenza”, un concetto che sembra un po’ astratto, ma è così. Mi sento che ogni giorno in più sia uno in meno che ho da vivere, mentre vorrei sentire di averne vissuto uno in più: quando giravamo nella casa nel bosco mi sono sentito che fossimo noi tre, più la morte, era come una presenza. Ingrid impara cosa significhi vivere con la morte, perché ci sarà. Quella data dal personaggio di Tilda, per me è stata una lezione”.

La malattia, dunque, ritorna nel cinema del regista, che sulla questione spiega di aver “cominciato a parlarne perché alcuni disturbi che io posso avere hanno modificato le mie attività; questa del film però è terminale, e io vorrei esprimere in modo alto quanto penso del tema. È un film a favore dell’eutanasia: la cosa ammirevole di Martha è che decida che liberarsi dal cancro sia possibile solo se prende lei la decisione. La cosa terribile è doversi confrontare con questa scelta come se si fosse dei delinquenti, mentre è importante un accompagnamento al fine vita: tu devi essere padrone della tua esistenza. Il film parla del tema, ma una legge dovrebbe regolamentare in tutto il mondo e il medico dovrebbe aiutare il paziente, dare un parere sufficiente alla scelta”.

Nella vicenda, Martha e Ingrid non si incontravano da tempo e una casualità ha messo la seconda a conoscenza dello stato di salute dell’altra, ricoverata in una clinica di New York: “il tempo ci è sfuggito di mano” e la terapia sperimentale affrontata dalla giornalista non sta rispondendo come sperato. Almodóvar, senza retorica, senza nessun rischio di scivolare in derive discutibili, con lucidità che non significa freddezza, affida al personaggio di Swinton la consapevolezza del libero arbitrio sulla cosa che più appartiene all’individuo, la propria vita: si parla di morte e di dignità, Martha non si commisera, Martha non ha paura o se ce l’avesse non lascia che la attanagli, Martha vuole scegliere “prima di deteriorarmi”, prima che la malattia la renda troppo debole, troppo poco capace di intendere, e sceglie di essere l’unico giudice della sua esistenza, certa che “il cancro non può prendermi, se mi prendo io per prima”.

Tilda Swinton sostiene “il film tratti della vita, io mi sento più vicina a Martha che a Ingrid: so che finiamo, so che la morte arriva, la vedo arrivare, sostengo chi deve fare questa transizione. Si può parlare di morire e il film descrive l’autodeterminazione: Martha prende la vita e la morte nella sue mani, è un trionfo della vita il film. Per lei quel periodo di transizione deve essere una celebrazione. È ‘una storia di amore’ tra Ingrid e Martha, va al cuore dell’amicizia: il film parla anche di Fede, ovunque ci porti”.

Ingrid non è incline all’idea, non è pronta, ma non cerca nemmeno di persuadere l’amica a una scelta differente: per quanto destabilizzata, accetta di raccogliere la sua richiesta, di accompagnarla e stare con lei per un periodo, in un luogo che non porti con sé ricordi che possano far riaffiorare la bellezza del passato, ma che sia uno spazio in questo momento sereno, in cui ci sia una stanza accanto alla sua, da qui il titolo del film, The Room Next Door – in Concorso -, camera in cui Ingrid si dovrebbe infine trovare quando Martha sceglierà di chiudere gli occhi per sempre: “sono pronta ad andarmene, sono quasi impaziente”, afferma.

“C’è una forza vitale nei film di Pedro, si sente battere il cuore: cosa significa avere vita? Sono stata emozionata dal personaggio che dice: ‘starò con te’. Questa è una lezione: quando si rompe il bicchiere lo conservi con più cura e Pedro riesce a impersonare questo concetto: sì, te ne vai, ma capendo di aver vissuto te stesso e gli altri”, per Moore.

Per alcune sequenze, poi, la situazione suggerisce che la scelta potrebbe ribaltarsi: dov’è finita questa pillola del sonno eterno che è stata reperita nel dark web?

Tutto si ristabilisce e lì, quella avveniristica casa nel bosco, spazio di bellezza e isolamento assoluti, cui rintracciamo tutti i colori e le suppellettili che appartengono all’universo di Almodóvar, è un piccolo spaccato di tempo che scrive la storia: Martha, fedele alla sua idea di non lasciarsi sciupare dalla morte imminente, la affronta con una ricerca sofisticata di bellezza, e se ne va… lasciando senza dubbio più d’una traccia di sé, non solo quella biologica impersonata dalla figlia, ma anche nello spirito di Ingrid stessa, seppur Almodóvar spieghi di non credere “nella reincarnazione ma qui c’è una sorta di reincarnazione; nella figlia c’è il coraggio di Martha ma c’è anche in Ingrid, che infine è molto più forte, come un blocco di marmo, qualcosa che le è stato passato dal personaggio di Tilda. Da subito ho pensato che Tilda avesse dovuto fare entrambe (Martha e la figlia), per il paradosso che tra una madre e una figlia identiche… ci potessero essere distanze. La vita fa sì che la madre fluttui da Ingrid alla figlia: Martha, tra l’altro, lascia la casa di NY a loro due e il rapporto madre-figlia, impossibile in vita, è probabile possa esistere tra Michelle e Ingrid”. Infatti, per Swinton, “Ingrid diventa contenitore dello spirito della madre, quindi c’è speranza”.

Del “primo film in inglese” e delle sue due interpreti anglofone, Pedro Almodóvar dice “pensavo avrei avuto più problemi, la lingua mi è estranea ma loro hanno capito il tono con cui volevo raccontare, tutt’altro che melodrammatico”.

“La cosa straordinaria è che dopo aver guardato così tanti suoi film, pensando avessero sempre qualcosa di molto spagnolo, ho capito che fosse… semplicemente Pedro! Nella sua casa, nella sua vita, come pensa, come vede il mondo, è sempre lui! Lui vede così le cose anche attraverso la lente dell’inquadratura e, come attrice, ci si arrende alla visione del regista e così fai qualcosa di molto più grande di quel che faresti da sola. È pieno di umanità e vita”, commenta Julienne Moore. Mentre Swinton dice di aver “sempre adorato quello che ha fatto e non ho mai pensato nel suo mondo potesse trovare spazio per una come me: è stata una concessione e un privilegio. Lui ha forte disciplina, ispira, e mi sento come la studentessa che ero alla visione del suo primo film”.

 

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