Un luogo dove chiunque possa essere accettato. Questo cercano Francesca, Susanne e Giada, le tre protagoniste dell’ultimo film di Pasquale Marrazzo, Anime veloci (N.O.I. produzione, distribuzione Pink Movie A Different Movie, in uscita il 14 luglio a Roma e Torino e il 21 a Milano).
E’ una moderna spy-story girata tra Berlino e l’Italia, dove Francesca (Giovanni Brignola) – transessuale ventenne – e Giada (Elisabetta D’Arco) – anche lei ventenne – adescano i proprio clienti in posti non comuni per la prostituzione, come supermercati e biblioteche. Le loro vite s’intrecciano con quelle di Susanne (Gabrielle Scharnitzky), quarantenne dall’ambiguo passato e Andreas (Rainer Winkelvoss), dal cui incontro si svilupperà la storia di spionaggio con la Berlino post-muro a fare da sfondo. Nel cast anche la prestigiosa presenza di Arnoldo Foà che interpreta il ruolo del padre di Susanne.
Pasquale Marrazzo ha esordito sul grande schermo nel 1997 con Malemare, mentre nel 2001 il suo Asudsole è stato selezionato per il festival di Toronto e di San Sebastian.
Come nasce “Anime veloci”?
Da una serie di coincidenze. Studiavo filosofia e sono rimasto colpito dalle storie tedesche di spionaggio. Già stavo scrivendo il personaggio di Francesca, un transessuale che cerca di essere accettato, ma si sente respinto e tradito. E leggendo in contemporanea i dossier segreti dalla Stasi (diventati pubblici dopo la caduta del Muro, ndr.) è nato il personaggio di Susanne, un’ex detenuta politica tedesca che si mette alla ricerca di chi in passato l’ha tradita e fatta arrestare. Ho così associato i due tradimenti, fondamentalmente diversi, ma umanamente dello stesso valore.
Tradimenti che portano all’emarginazione di quelli che lei definisce “angeli necessari”.
Sì sono individui che ti spingono alla riflessione sul chi siamo e come spesso molti siano costretti a subire. Personaggi come Francesca ci fanno vedere il mondo in maniera diversa. Le loro sono vite ai margini, ma ci devono aprire gli occhi e far capire che il mondo non è tutto bello come sembra. Per questo motivo sono “necessari”. Se non ci fossero è come se avessimo un mondo senz’arte. Sarebbe davvero triste.
C’è una continuità nei suoi film?
Per me il film è come la vita. Ti accade un po’ di tutto. C’è sempre una continuità. Ogni evento che capita è sempre differente, ma legato perché avviene nella stessa vita. I personaggi sono diversi come anche le storie, ma c’è sempre una continuità esistenziale. Per questa ragione faccio ritrovare nei miei nuovi film personaggi di film precedenti. In verirità è come se avessi girato un unico grande film.
Lei ha creato la N.O.I. produzione, come è nata questa esigenza?
Purtroppo circola tanta ignoranza nel mondo del cinema, i distributori guardano solo all’aspetto economico. Non c’è un’idea chiara. Sono convinti che lo spettatore sia ignorante, ma non è così. Se gli proponi in sala belle commedie e in contemporanea altri film di genere diverso, almeno c’è la possibilità di scegliere. Ma non succede, eppure il pubblico andrebbe rispettato. Così è nata la N.O.I. produzione, che speriamo presto di ampliare.
E in cantiere c’è un nuovo film?
L’anno prossimo di questi tempi inizierò a girare La fabbrica diabolica. Questa volta sarà una commedia, proprio perché il film è come la vita e ti succedono cose diverse. Una volta piangi e magari la volta dopo ridi. La cosa fondamentale è che sia una risata sana che coinvolga il cuore.
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti