Città del Vaticano. Lo Stato dell’Ohio. L’Argentina. L’isola di Lampedusa. Montevideo. L’inglese Bournemouth. Il mondo in sei luoghi e in altrettante persone: Francesco, Martin, Ester, Vito, Cristina&Carlos, Jane.
La docu-serie Stories of a generation con Papa Francesco – basata su Sharing the Wisdom of Time, libro scritto dal Pontefice – presentata alla Festa del cinema di Roma, prodotta e diretta da Simona Ercolani, dichiara il proprio intento sin dalla testa del racconto, infatti, impresso sulle prime sequenze, leggiamo che persone Under 35 incontrano persone Over 70, e la tematica regina delle interviste (della prima puntata) è l’amore, nelle sue plurali declinazioni.
Francesco è il Papa; Martin è Scorsese; Ester è la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, orfana di una figlia rapita (e successivamente uccisa) quando era incinta di sei mesi, diventata nonna dopo 33 anni, quando scopre di avere un nipote; Vito il gelataio di Lampedusa che nello straziante naufragio del 3 ottobre 2013 con la sua barca ha salvato dal mare 47 persone; Cristina e Carlos sono una coppia di sposi ultraottantenni, insieme da quando erano adolescenti e che hanno incontrato il tango in tarda età, simbolo dell’abbraccio metafora dell’amore; Jane è un’antropologa di fama mondiale, che con la frequentazione e lo studio delle scimmie ha cambiato la letteratura della sua materia, soprattutto per l’empatia che ha saputo stabilire con gli animali.
Il progetto è “cominciato dopo aver letto il libro – dice la regista – che raccoglieva storie di anziani: con lo scoppio della pandemia l’idea s’è trasformata in un’urgenza, anche Netflix ha sentito l’importanza di raccogliere le storie delle persone più fragili, appassionandosi di filmmaker Under 30 e Contributors Over 70. Abbiamo lavorato un anno, selezionando più di 400 storie, più di 100 filmmaker: abbiamo scelto i più adatti alle singole storie e rispetto ai luoghi in cui abbiamo girato. Le nostre sono storie straordinarie nella loro normalità: Papa Francesco s’è messo in una relazione nonno-nipote, essere umano-essere umano. È un progetto in quattro lingue, quindi universale e globale per definizione. Le puntate sono 4 – tematiche: amore, sogni, lotta, lavoro – e avendo il Papa come personaggio ricorrente c’è un arco narrativo del soggetto e un suo crescendo, con racconti personali e inediti, anche con prese di posizione che danno una carica di energia, con tutti i protagonisti che entrano in risonanza tra loro, su una comune base valoriale”.
“Cos’è l’amore?”, viene chiesto a Papa Francesco, che per l’occasione guardiamo accedere ad una delle stanze vaticane, allestita come set dell’intervista per questa docu-serie, e lui risponde (non ad un intervistatore Under 35) dicendo che potrebbe controbattere chiedendo: “Cos’è l’aria?”, a restituire l’immensità del concetto e la gigantesca inafferrabilità dello stesso, aggiungendo la specifica che, sicuramente, l’amore richieda “la gratuità del gioco”.
“La proposta a Papa Francesco è piaciuta per quanto gli sta a cuore il rapporto anziani-giovani. Con una condizione: non essere lui protagonista, ma essere inserito nel dialogo tra quelli che lui ama chiamare ‘i Santi della porta accanto’, così il Papa s’è rilassato, aperto. Lui aveva preso appunti sulle mie domande, sottoposte prima dell’intervista (realizzata in due tempi, per complessive 6 ore), ma poi ha messo tutto da parte ed è andato a braccio, a dimostrazione di quanto importante sia il contenuto”, racconta Padre Antonio Spadaro, consulente editoriale della docu-serie e curatore del libro su cui è basata.
Le storie delle “persone comuni”, di Ester, Vito, Cristina&Carlos, Jane, chiaramente eccezionali, permettono al racconto di accennare le sfaccettature del concetto di “amore” e ciascuna di queste sarebbe un avvincente documentario capace di vivere a se stante, senza il bisogno delle piccole sequenze in cui parla il Papa, più richiamo di comunicazione che pregnante essenza narrativa per la docu-serie (almeno nella prima puntata mostrata in anteprima), perché se l’intento della serie – come sembra – è approfondire un tema mastodontico e universale nella generazione della terza età, davvero interessante sarebbe conoscere il punto di vista di Jorge Mario, “svestito” del suo ruolo e quindi del suo conseguente riflettere, necessariamente intriso del verbo papale. L’unico contributo in cui il Papa arriva diretto, come uomo e non come icona suprema della Chiesa cattolica, è quando, rispondendo ad una domanda, s’aggancia a qualcosa di visceralmente personale, la nonna Rosa, di cui ricorda – connesso ai gesti d’affetto espliciti, le carezze – lo toccasse molto “il silenzio”, atto di contemplazione e cura.
Mentre Scorsese, invece, intervistato dalla figlia Francesca, resta in bilico tra l’umanità eccezionale ma emozionale delle storie di Ester, Vito, Cristina&Carlos, Jane, e quella – rilassata nel modo ma ieratica nel contenuto – del Papa: il regista americano si racconta alla figlia come uomo e non come artista, e si mostra nella sua quotidianità accanto a Helen, la moglie malata, restando però in sospeso tra il mito cinematografico e l’essenza dell’uomo, tanto che – per dare “una risposta” a Francesca – ricorre alla lettura di alcune pagine di un passaggio letterario (non suo). “Con Martin Scorsese è iniziata una corrispondenza, poi abbiamo coinvolto Francesca perché filmmaker, quindi con lo sguardo della regista, ma anche in possesso dell’intimità. Scorsese s’è messo a nudo e ha abbracciato il progetto capendo lo spirito e mettendo a disposizione la sua esperienza di vita come figlio, nipote, padre e poi professionale”, specifica Simona Ercolani. “Scorsese ha accettato affinché potesse passare, alle nuove generazioni, anche la sua chiave di fallimento: è un racconto famigliare, in cui il padre comunica alla figlia un’esperienza di vita e difficoltà: un messaggio molto, molto forte”, continua Padre Spadaro, che aggiunge: “Per Scorsese, il Papa è un grande leader mondiale, l’unico capace di dire qualcosa di ascoltabile da chiunque in tutto il mondo. Incontrando Scorsese ho incontrato un uomo molto spirituale, la cui cifra presente è nel suo film Silence, e il suo contributo alla docu-serie rivela la sua prossimità alla spiritualità”.
In sala “c’è Vito Fiorino, che rappresenta l’Italia nella serie: mi piace raccontare così il dramma dell’immigrazione. È un tema quotidiano, spesso raccontato in maniera pietistica, mentre a noi è piaciuto raccontarlo in maniera attiva, trattando il prossimo con uno sguardo che va alla pari, porgendo gli occhi negli occhi”, aggiunge la producer/regista.
“Sappiamo quali siano i momenti oscuri del presente, uno dei problemi principali è che ci siamo dissociati dal mondo naturale: anche nelle grandi città dobbiamo renderci conto che ci affidiamo all’ecosistema, l’aria, l’acqua. Se una specie sparisce per via dell’azione umana l’ecosistema crolla. Siamo noi a decidere che impatto scegliere. Purtroppo per il modo in cui viviamo, molti hanno perso la speranza, ma perderla significa diventare apatici, e alcuni diventano così aggressivi e violenti. La perdita di speranza è fallimento. I giovani vogliono fare la differenza, ma bisogna capire quello per cui si stanno battendo, e accanto a questo ci vuole la saggezza degli anziani”, le parole di Jane Goodall, l’etologa e antropologa inglese fondatrice del “Jane Goodall Institute” e Messaggero di Pace ONU.
La docu-serie è disponibile dal 25 dicembre sulla piattaforma: “Un progetto così era un’occasione irrinunciabile. Noi facciamo storie per parlare a più persone possibile, oltre l’incredibile occasione di poter parlare col Papa. Queste, sono storie che ti fanno dire: ‘È come parlare di mio nonno, di mia mamma’, senza che il racconto sia didattico, senza che salga in cattedra”, per Giovanni Bossetti di Netflix. .
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