“Ma siete matti.. c’ho da ffare.. e poi unn’è il mio mestiere”. Provate a mettere in bocca queste parole a Paolo Virzì, livornese fino al midollo, e sentirete “in diretta” la sua prima reazione alla proposta di diventare il nuovo direttore del Torino Film Festival. Poi però… “Poi però m’hanno incastrato dicendomi che avrei potuto essere utile a quella manifestazione con il mio tipo di profilo. Che avrei potuto sostenere il TFF non tanto dal punto di vista tecnico, quanto per le idee, l’entusiasmo e anche l’affetto… L’affetto profondo che ho per questo festival sin da quando si chiamava Torino Giovani e si pre-occupava di scoprire e promuovere i nuovi talenti. Sin dai suoi inizi vi ha lavorato un gruppo di appassionati di cinema che è stato poi capace di creare un circuito virtuoso, capace di rappresentare un buon esempio di politica culturale cittadina. Insomma, alla fine ho accettato e ora sono contentissimo.
Dall’entusiasmo con cui ne parla, immagino che nonostante l’incarico sia arrivato oltre metà dicembre, lei abbia già buttato giù qualche idea per il “suo” TFF…
Sì, ammetto, ho già fatto una lista lunghissima di sogni e desideri. Sempre però nel rispetto assoluto per l’impostazione generale. Non voglio certo cambiare l’aria che caratterizza il festival di Torino, il suo tenere una dignitosa distanza dalle parate per puntare dritto alla qualità e all’innovazione. Non è un caso se lo scorso anno è stato l’unico festival cinematografico in Europa che, non solo ha tenuto, ma ha persino aumentato i suoi spettatori del 16%.
Dando una sbirciatina al suo elenco dei “desiderata”, vediamo cosa resta e cosa cambia delle sezioni principali del festival torinese.
Gran parte dell’impianto generale resterà simile. Centrale rimane la competizione internazionale, dedicata alle opere prime e seconde. Quella sarà la bussola di un festival il cui occhio resta puntato sui nuovi autori e sul “cinema che sarà”. Fondamentale anche lo spazio delle retrospettive, altra casella storica di Torino, dove però mi piacerebbe esplorare certi miei amori segreti… Poi chiaramente lo spazio dei documentari, altra carta forte del TFF con due sezioni distinte. Infine, ci sono quelle sezioni più curiose, come “Onde” e “Festa Mobile”, che ricercano più nel mondo della sperimentazione. Ecco, lì mi piacerebbe andare a cercare anche più in là, non solo nel mondo del web e dei videomaker, ma anche spingermi fino a vedere cosa succede in certi nuovi prodotti televisivi, soprattutto esteri.
La sua retrospettiva ideale?
Beh, una che era in cima alla lista dei miei sogni ha già quasi preso il via. Voglio mettere insieme tutti i titoli della New Hollywood che hanno formato il mio gusto cinematografico, da Easy Rider a Cinque pezzi facili, fino ad arrivare a Woody Allen. Trenta titoli del miglior cinema americano degli anni che vanno dalla fine dei ’60 all’inizio degli ’80. Quello, per intenderci, che ha rivoluzionato i gusti e i modelli di produzione di almeno un paio di generazioni internazionali, me compreso.
E per l’Europa, che progetti ha?
Ho parlato con i miei collaboratori e selezionatori di un’idea che mi piacerebbe realizzare per una retrospettiva da chiamare Europop. Ovvero, un gruppo di titoli di grande successo nazionale, ma che non hanno avuto alcuna risonanza fuori dalle mura domestiche.
E per quanto riguarda gli omaggi italiani?
Ce ne saranno di sicuro, e anche piuttosto sorprendenti… Nomi, nomi… Eh no, quelli non li faccio! Non esageriamo. Però ho intenzione di ricostruire un percorso di titoli italiani degli ultimi 15 anni che valgono la pena di essere omaggiati, magari per la prima volta.
Ogni direttore porta in un festival la sua personalità, la sua firma. Come sarà l’atmosfera generale del TFF diretto da Virzì?
Lo stile algido del biennio Moretti a Torino è stato bellissimo, aderente alla personalità di Nanni. Dopo di lui è arrivato il calore, pieno di abbracci e baci, di Gianni Amelio. Ecco, anche io voglio trovare un mio stile caldo per ricevere ed accogliere gli ospiti. Essendo sempre stato dall’altra parte della barricata, so cosa vuol dire per un autore arrivare ad un evento come un festival dopo mesi, spesso anni di dannazione per un progetto amato ma contrastato da budget, tempi atmosferici, blocchi amministrativi… E poi arriva quel momento in cui ti giochi tutto e sei terrorizzato, nudo, esposto. Ecco, io voglio essere lì in quel momento, ad accogliere questi poveri autori nel modo più rassicurante possibile.
Concretamente? Qualche idea in testa?
Mi piace immaginare qualcosa di simile a quello che succede a San Sebastian dove, quando entri in Sala Grande, nel foyer c’è un corpo di ballo basco che ti dà il benvenuto, o a Tallin dove alla premiazione per lo European Film Academy ci sono dei cori estoni che cantano e danzano per te. Noi potremmo accogliere i nostri graditi ospiti magari con una Marching Band… Ecco, vi ho dato un’altra anticipazione, ma adesso basta!
Va bene, basta anticipazioni, passiamo ad altro. Per esempio, lei si troverà ad essere direttore di un festival di cinema in un momento non facile, sia per la cultura che per l’economia italiane. Come affronterà, a suo modo, la crisi?
Il nostro è un paese strano. Si continua a pensare – sia a destra che a sinistra – alla cultura e al cinema come ad attività ricreative, assai meno importanti di altre. Senza mai cogliere la possibilità, soprattutto in Italia, per l’arte e la cultura di essere un grande volano economico! Negli ultimi anni poi ci sono stati ministri della nostra Repubblica che sono arrivati persino a denigrare, a disprezzare, gli artisti. Un periodo davvero molto triste.
La crisi economica certo non ha aiutato. Ha in mente delle soluzioni, delle strade alternative?
So che dirò cose su cui molti non sono d’accordo. Ma io penso che la politica del sostegno pubblico al cinema non sia stata un bene, troppi abusi e sprechi intorno al famoso art. 28 degli anni ’80. Mentre invece c’è un modello virtuoso che noi dovremmo, a mio avviso, assumere come nostro, ovvero quello francese, dove è il pubblico stesso a sostenere la cinematografia nazionale pagando un po’ di più il biglietto di ingresso in sala. E non solo… hanno unito a questo provvedimento il sostegno al circuito delle sale nelle piccole e medie città. In questo modo, la Francia da sempre dimostra di puntare sulla narrazione cinematografica come parte centrale della propria politica culturale.
Già, le piccole sale di provincia. In Italia se ne trovano ormai poche…
E non ci rendiamo conto di cosa stiamo perdendo con la loro sparizione! Io sono un orgoglioso ragazzo di provincia e pensare che sotto i portici di Livorno al posto del cinema “La Gran Guardia” ora c’è uno store di una grande firma, mi mette una tristezza infinita. Passi sotto quei portici la sera e non c’è più la luce del cinema, ma solo odori nauseabondi e degrado..
Ma parlare di aumento del biglietto in Italia, in questo momento, sarebbe un po’ suicida…
E’ la risposta che tutti hanno sempre dato a questa proposta. E evidente che non si può proporre una soluzione del genere senza un disegno politico più complesso. La politica prevede l’uso dell’intelligenza, avere uno sguardo lungimirante. Non vuol dire fare contenti alcuni e altri no, significa lavorare per l’interesse generale. C’è l’interesse generale che l’Italia abbia un proprio cinema? Qualcuno dirà magari di no, ma io invece penso di sì. Soprattutto perché siamo in Italia, un paese dove l’industria cinematografica ha avuto un ruolo centrale nella macchina dell’economia nazionale. Ma ci siamo dimenticati cosa ha voluto dire il cinema italiano per la nostra industria?
Forse vale la pena ricordarlo.
Pensiamo agli anni del boom economico italiano, quando i nostri prodotti circolavano nel mondo. Non sarebbe stato possibile se non ci fossero stati Dino Risi, Fellini, Antonioni e tutti gli altri grandi registi che trasformarono completamente l’immagine dell’italiano. Il fascista ignorante e pecorone che aveva perso una guerra nell’ignominia venne completamente rinarrato dal nostro cinema diventando un personaggio simpatico, spiritoso, imprevedibile. Grazie al cinema riconquistammo la nostra credibilità internazionale, il nostro carattere geniale.
Già, in questo momento, sarebbe non poco utile.
Dovremmo usare il nostro cinema per fare una sorta di psicoterapia nazionale… Ma certe cose non dovremmo dirle noi, i cineasti, rischiando di sembrare di parte. Ci vorrebbe una riflessione collettiva e trasversale.
Perché non cominciare proprio dal prossimo TFF?
Esatto, e infatti ci ho già pensato. A Torino mi piacerebbe discutere proprio di questo, di come pensiamo e cosa vogliamo fare del cinema italiano. Voglio coinvolgere nella discussione protagonisti, commentatori, osservatori esterni, scrittori, intellettuali. Basta con le diatribe di categoria e le giaculatorie sui tagli. Voglio tentare di alzare il livello della discussione. Non so se ci riuscirò. Un festival è fatto più per i film che per le chiacchiere. Ma se riesco anche ad inserire questo spazio di confronto e riflessione allora sarò davvero un direttore felice!
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