Il fantasma di Pirandello continua a percorrere il cinema di Paolo Taviani che compone una sorta di requiem laico di struggente tenerezza con elementi di farsa e commedia degli equivoci. La storia del Novecento, politico e letterario, è la principale fonte d’ispirazione di questo lavoro che la ripercorre con grande libertà.
Leonora addio, primo film in solitaria dopo la morte di Vittorio a cui è dedicato, nell’incipit ci porta quindi dentro la mente di Luigi Pirandello, il grande scrittore e drammaturgo siciliano da sempre amato dai due registi toscani, che gli dedicarono Kaos (1984) e in seguito Tu ridi (1998) prendendo spunto dalle alcune sue opere della raccolta Novelle per un anno (e l’idea di raccontare l’odissea delle “ceneri di Pirandello” nacque proprio allora, anche se non se ne fece nulla perché erano “finiti i soldi”).
Qui lo scrittore è morente e riflette sulla fama, e sul suo prezzo. Lo vediamo nel footage mentre accetta il Nobel immerso nella tristezza che presagisce la sua fine, che sarebbe arrivata solo due anni dopo. L’autore di Sei personaggi in cerca d’autore morì di polmonite il 10 dicembre del 1936, in pieno fascismo, regime a cui aveva lui stesso aderito non si sa quanto convintamente: Mussolini e i suoi gerarchi avrebbero voluto per lui esequie di Stato, ma Pirandello aveva lasciato indicazioni precise nel testamento chiedendo di “passare sotto silenzio la sua morte”. Voleva essere seppellito nudo, avvolto in un lenzuolo, ridotto in cenere e disperso oppure messo in un’urna da murare “in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti”. Gesto di estrema, silenziosa ribellione.
La prima parte del film, in un bianco e nero nitido ed elegante (fotografia di Paolo Carnera con la collaborazione di Simone Zampagni), si concentra dunque sul lungo viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento: a portare il vaso, dapprima conservato al Verano, un funzionario del Comune (Fabrizio Ferracane) che si deve districare tra superstizioni e scherzi del destino. Prima il pilota dell’aereo che non se la sente di volare con un cadavere; quindi i viaggiatori che, nella lunga sequenza del treno, giocano a tresette “col morto” sulla cassa che contiene le ceneri. L’arrivo in Sicilia coincide con l’angoscia del vescovo (Claudio Bigagli) che non vuole benedire un corpo cremato, per cui decide di trasferirlo in una bara almeno per salvare le apparenze. Ma non trovandone in città una normale, ripiega su una bara da bambino, tanto che chi assiste al corteo funebre si convince che dentro ci sia un nano. È tutto un teatro dell’assurdo, insomma, in puro stile pirandelliano, con il contrappunto delle musiche di Nicola Piovani e il montaggio di Roberto Perpignani.
L’assurdo riverbera dal passato al presente, dalla letteratura alla politica: Paolo Taviani sembra voler ripercorrere tutto il cinema fatto con Vittorio, a partire da Un uomo da bruciare, del ’62, girato in Sicilia, passando per i temi resistenziali e l’antifascismo militante che trovano corpo e sostanza nelle citazioni del repertorio Luce, come nelle scene del neorealismo utilizzate nel montaggio, tra cui la lunga sequenza della fucilazione da Il sole sorge ancora di Aldo Vergano interpretata da Carlo Lizzani e Gillo Pontecorvo, un vero omaggio al cinema della Resistenza.
L’amore per il cinema lascia il passo a quello per la letteratura condensato nell’ultima parte del film, dove Paolo cambia registro per rileggere, a colori, la novella Il chiodo, uno degli ultimi racconti scritti da Pirandello (un’altra novella, Leonora addio, ha lasciato qui solo il titolo ispirato a una romanza del Trovatore).
Protagonista di questa seconda parte del film, del tutto autonoma, è Bastianeddu (Matteo Pittiruti), piccolo migrante tolto alla madre e portato a New York dal padre, a lavorare in un ristorante. Bastianeddu compie un gesto inspiegabile anche a lui stesso, intromettendosi in una lite tra due bambine con un lungo chiodo acuminato trovato poco prima per strada, come se fosse stato lì “apposta”. E così il suo incontro con la piccola Betty dai capelli rosso fuoco diventa definitivo e assoluto.
In concorso a Berlino e in sala con 01 dal 17 febbraio, il film è prodotto da Stemal con Rai Cinema e Luce Cinecittà.
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