Pio XIII in coma, un conclave con esito a sorpresa, che sfocia in un’elezione nel segno del francescanesimo puro, scatenando l’ira dell’ambizioso segretario di Stato cardinal Voiello fino all’elezione di un nuovo papa, l’aristocratico maestro di mediazione Sir John Brannox che ascende al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo III.
In anteprima abbiamo visto gli episodi 1, 2 e 7 della serie originale Sky, HBO, Canal+, di 9 episodi, creata e diretta dal Premio Oscar® Paolo Sorrentino, prodotta da The Apartment e Wildside, parte del gruppo Fremantle, dal 10 gennaio in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming su Now TV, quindi in sala – all’Anteo di Milano, al 4 Fontane di Roma e al Delle Palme di Napoli – con Vision Distribution ogni lunedì successivo alla messa in onda in versione originale sottotitolata (il 13 gennaio si parte con il primo e secondo episodio, lunedì 10 febbraio sarà in sala in nono e ultimo).
Scritta da Sorrentino con Umberto Contarello e Stefano Bises, la serie riprende personaggi e atmosfere di The Young Pope. Ora Pio XIII, il tormentato Lenny Belardo (Jude Law) è in coma, i fedeli che lo considerano un santo pregano incessantemente per lui, ma Voiello (un onnipresente Silvio Orlando) è convinto che vada eletto un nuovo pontefice. Dopo una parentesi “sfortunata” (per Voiello) la scelta cade su Sir Brannox (John Malkovich), uomo affascinante e sofisticato, forse più adatto per la vita agiata nella campagna inglese che per le sfide del papato in un mondo segnato dai fondamentalismi, dalle migrazioni e dalle crisi. “Mentre nella prima serie volevamo raccontare il Vaticano visto dall’interno, quasi senza contatti con il mondo che c’è fuori – racconta Paolo Sorrentino – in questa abbiamo voluto fare il contrario, mettere in contatto l’interno con l’esterno e far entrare elementi di attualità nella narrazione. Ci concentriamo anche sulle derive fondamentaliste, un argomento di scottante attualità che rischia di essere dietro l’angolo”. Nel cast ritroviamo Javier Cámara, Cécile de France, Ludivine Sagnier, Maurizio Lombardi, già protagonisti in The Young Pope, ma ci sono anche nuovi arrivi come Henry Goodman, Ulrich Thomsen, Mark Ivanir, Yuliya Snigir, Massimo Ghini e le guest star Sharon Stone e Marilyn Manson.
Di impatto notevole le riprese fatte all’interno del Teatro 5 di Cinecittà. “In questa stagione – sottolinea la scenografa Ludovica Ferrario – abbiamo girato in diverse location: a Roma, all’interno di una serra ricostruita in un monastero in Abruzzo, in una Lourdes ambientata sulle sponde del Piave, tra le montagne di Cortina. Come in The Young Pope abbiamo usato i set per la biblioteca papale, la facciata di San Pietro, gli interni della Basilica – ricostruzione fatta nel dettaglio, dal cancello d’ingresso fino alla Pietà di Michelangelo costruita in scala – e di una Cappella Sistina in scala reale che, dovendo ospitare vari conclave, ha comportato anche la costruzione dell’antistante Sala Regia. Una sfida importante realizzare luoghi simbolo del Vaticano nel mitico Teatro 5 di Cinecittà”:
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Sorrentino, gli episodi che abbiamo visto sono contrassegnati da una forte sensualità e maggior presenza femminile, rispetto alla prima stagione.
Il sesso è dappertutto, questo è noto. Sarebbe ipocrita pensare che non ci sia in Vaticano, perché fa parte della vita degli individui. Queste cose non si decidono a tavolino. Non sono interessato a fare qualcosa di provocatorio, irriverente o trasgressivo. È un gioco che si è fatto per tanto tempo, un gioco troppo semplice, antico e infantile. Poi, accanto all’erotismo, ci sono le richieste e le rivendicazioni delle suore nei confronti degli alti prelati per una maggiore parità, rivendicazioni espresse nei confronti del segretario di stato e poi del papa. E’ uno scenario verosimile. La parità sarà la prossima grande questione all’interno della Chiesa cattolica, dopo la pedofilia. È un processo irreversibile, come nel nostro vivere comune, nelle relazioni tra uomo e donna. La Chiesa arriva sempre un po’ dopo. Il Vaticano è un mondo chiuso e maschile, ma tutte le volte che mi sono potuto aggrappare al femminile nel racconto l’ho fatto.
C’è una differenza sostanziale nella scrittura di una serie rispetto alla scrittura di un film?
Dipende dallo sceneggiatore. Io tendo a scrivere più di quanto serva, quando scrivo per un film mi devo trattenere, però quando scrivo una serie mi devo un po’ sforzare. Credo che un film di tre ore sia la mia misura ideale.
In questa nuova stagione sono entrati elementi di forte attualità, come il terrorismo islamico e l’immigrazione. Come mai?
Cambiano i papi e quindi anche l’atteggiamento verso il mondo. Qui abbiamo un pontefice che dice: apriamo le porte ai poveri e quindi era naturale ricorrere all’attualità e parlare anche di immigrazione.
Quale caratteristica del nuovo papa la colpisce maggiormente?
Mi commuove un uomo che rivendica per sé e per gli altri il diritto alla fragilità, il non farcela rispetto alle aspettative, una cosa da cattolici nel senso bello del termine. Fa un discorso sul diritto a essere fragili e riscuote un consenso enorme. La sua fragilità è quella di tutti noi. Riguarda tutti, giovani e vecchi, uomini e donne. C’è bisogno di figure che possiamo stimare e considerare autorevoli che sappiano guidarci in questo diritto a essere vulnerabili, a non farcela.
Come ha costruito la scena dell’attentato al Vaticano? Sa di aver infranto un tabù?
Non so fare le esplosioni, ci sono scene che non sono in grado di girare e non mi piacciono neanche tanto, ecco perché si vedono solo gli effetti dell’attentato. Quanto al un tabù, non ci dovrebbero essere cose che non si possono raccontare al cinema o in letteratura. Mostrare l’attentato è anche un modo per esorcizzarlo, sperare che non accada mai.
La santità di Pio XIII sconfina con il divismo, con il culto della personalità.
Non le vedo come due cose molto distanti tra loro e lo dico senza voler essere irriverente. C’è un’attinenza tra queste due cose. Pio XIII diventa un divo perché attua una strategia mediatica per aumentare il numero dei fedeli. La sua evoluzione nasce in modo graduale, alla fine della prima stagione Lenny Belardo si addolcisce, diventa meno intransigente, un uomo con più dubbi, con meno sicurezze. Sono partito da questo cambiamento di carattere.
Il tema dei due papi – Francesco e l’emerito Benedetto XVI – ha molto colpito l’immaginario collettivo. Se ne parla anche nel film di Fernando Meirelles I due papi. Si è chiesto perché?
E’ stato un po’ come quando abbiamo visto la pecora Dolly. Questo sdoppiamento ha stimolato l’inventiva. I miei due papi, essendo inevitabilmente anche dei politici, nel corso del racconto prendono consapevolezza del fatto che per il bene della Chiesa e dei fedeli, si può fare un passo indietro. Sanno rinunciare alla voglia di esserci, fanno quello che i politici non sanno più fare. Il nostro bene dovrebbe essere più importante, ma i politici italiani non si fanno da parte neanche quando dovrebbero.
Com’è andato l’incontro con John Malkovich?
Avevo cominciato a scrivere ma non ero contento, quando l’ho incontrato ho riscritto la serie da capo prendendo a prestito delle cose di lui. Nel nostro primo incontro siamo stati buona parte della notte a parlare, è un parlatore notevole. Ha un’ambiguità che conoscete tutti, ma è anche è rassicurante. Nelle persone ci affascinano le contraddizioni. Lui è leggero ma sa dare importanza alle cose. È ironico ma sa essere molto serio. Ha un’eleganza naturale. Man mano che lo conoscevo mi rendevo conto che la mia fantasia sul personaggio era più debole della realtà.
Ci sarà una terza stagione?
Non lo so. Per ora sono in partenza per Los Angeles per proseguire nella scrittura del nuovo film, Mob Girl, che avrà come protagonista Jennifer Lawrence.
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