Paolo Sorrentino: “Con Parthenope dentro due misteri, la donna e Napoli”

Esce il 24 ottobre 'Parthenope', nuovo film di Paolo Sorrentino: "Non lo definirei una lettera d’amore per Napoli, piuttosto il tentativo di misurarsi con due misteri che si sovrappongono, la donna e la mia città"


CANNES – “Non definirei Parthenope una lettera d’amore per Napoli, non sono mai stato in grado di scriverne. E’ piuttosto il tentativo di misurarsi con due misteri, la donna e Napoli, due misteri che si sovrappongono”. E’ un Paolo Sorrentino più che mai filosofo quello che incontriamo al 77° Festival di Cannes in una mattinata ventosa in cui gli dèi dell’Olimpo sembrano essere davvero in subbuglio sul mare della Croisette. Parthenope è il viaggio nel Novecento, dal 1950 a oggi, di una ragazza bellissima, che nasce dal mare come Venere. La bellezza si tuffa nel ventre molle di Napoli, attraversando tutte le sfumature del mostruoso e del grottesco, e ne esce trasfigurata, più sicura di sé ma anche più sola.

Il decimo lungometraggio di Paolo Sorrentino, Premio Oscar per La grande bellezza, che era stato l’ultima volta a Cannes con Youth del 2015, è un inno alla giovinezza ma anche un monito alla sua sorprendente caducità e impermanenza. E’ in qualche modo anche l’altra faccia di E’ stata la mano di Dio, un’invettiva violenta che trova in Celeste Dalla Porta la sua giovane musa. Il film narra gli incontri e la crescita di Parthenope, il principio di individuazione: ogni incontro è una tappa, con l’ex attrice velata Flora Malva (Isabella Ferrari), con lo scrittore omosessuale John Cheever (Gary Oldman), con il professore di antropologia Marotta (Silvio Orlando) che sarà il suo unico maestro e che nasconde un doloroso segreto, con la diva fuggitiva e sprezzante (Luisa Ranieri) che sembra ricalcata su Sophia Loren (ma Sorrentino smentisce) con il cardinale seduttore e guappo (Peppe Lanzetta) in una scena di sesso dal retrogusto blasfemo.

Sulle note della hit di Cocciante, Era già tutto previsto, si consuma un triangolo mortale con l’eterno innamorato respinto Sandrino (Dario Aita) e il fratello di lei Raimondo (Daniele Rienzo). Parthenope è concupita da tutti, ma in fondo non vuole nessuno, ha il gusto per la battuta che fu di Jep Gambardella di cui è quasi una versione femminile. Napoli è oscena quanto quella di Curzio Malaparte e il miracolo di San Gennaro ha ben poco di miracoloso. Qui il sacro sprofonda nel profano.

Il film si apre con una frase di Celine “certo che è enorme la vita, ti ci perdi dappertutto” ed è appunto un labirinto in cui perdersi.

“Non c’è rimpianto, malinconia o nostalgia, che ho messo in altri miei film – spiega Sorrentino – C’è il passaggio dell’età, la giovinezza che non contempla la verità e che se la incontra la considera un incidente di percorso che viene subito rimosso, perché nella giovinezza c’è insincerità, sogno e desiderio, ci si guarda allo specchio, si balla da soli, si fa un racconto epico di se stessi. Ma, come diceva Kierkegaard, a un certo punto si passa dalla vita estetica alla vita etica. Diventi quello che sei e spesso quello che sei non ti piace. Infine diventi grande, accetti quello che sei, e forse puoi stupirti ancora una volta come capita a Stefania Sandrelli nel finale”.

Celeste Dalla Porta, 26 anni, milanese, danzatrice, è una Parthenope che non può non affascinare. “Sul personaggio le ho detto tutto e il contrario di tutto, l’ho definito in corso d’opera – spiega Sorrentino – Lei e gli attori più giovani non sapevo cosa fossero, mentre gli altri attori più adulti avevano già lavorato con me”. Per Celeste “è stato totalizzante usare molte parti di me, Paolo mi ha detto cose contraddittorie, ma su tutte una: ricercare la libertà sempre. Parthenope fa scelte che la portano a sbagliare e rimanere sola ma è libera”.

Sorrentino smentisce i riferimenti a Sophia Loren e al Cardinale Sepe. “L’unico personaggio reale è quello dell’armatore Lauro”. Piuttosto rivendica l’astrattismo del film che è un percorso di individuazione di una figura femminile, cosa unica nel suo cinema con al centro personaggi maschili. “Ho rinunciato da subito all’ambizione di raccontare una donna, perché non è il compito di un uomo. Volevo mettere in sintonia il mio lato femminile con il personaggio sul tema dello scorrere del tempo. Gli uomini, quando si parla del tempo, mettono in azione il proverbiale infantilismo e fanno finta di niente, con le donne invece ho sentito una corrispondenza”.

Stefania Sandrelli parla del suo personaggio, la Parthenope matura, professoressa di antropologia che lascia la cattedra a Trento e torna nella natìa Napoli. “Lei si aspetta di vivere ancora qualche vertigine, ha fatto la brava, è andata a letto presto. Poi capisce che nonostante abbia progredito nella conoscenza di se stessa, la vita guarda altrove. Si aspetta di stupirsi ancora e credo che questa cosa le accada”.

Gary Oldman è lo scrittore americano John Cheever che la giovane Parthenope incontra a Capri. “Ho detto a tutti che volevo lavorare con Paolo Sorrentino che ammiro da sempre per la capacità unica di raccontare visivamente, amo le sue sorprendenti virate verso la bellezza o il grottesco, i suoi personaggi belli ma pieni di difetti. Ne amo la filosofia, lo spirito, l’umorismo e l’umanità”. E sul personaggio: “Oggi sono in un momento felice della mia vita, ma ho vissuto la malinconia e l’abuso di alcol. Cheever era un monumento di autodistruzione e solitudine, avrei potuto fare a gara di bevute con lui. L’incontro tra lui e Parthenope è così poetico. Specie quando lui le dice non voglio rubare la tua giovinezza. Lui va verso la fine, lei è all’inizio del viaggio”.

Il film è scandito da momenti clou della storia di Napoli: il colera, il ’68, il terremoto, lo scudetto. “E’ vero, per esempio il terremoto è evocato in maniera sottile, attraverso le impalcature della chiesa del miracolo, che non è il Duomo perché non abbiamo potuto girare lì”. A proposito di questa scena di sesso all’ombra di San Gennaro, Sorrentino spiega la sua idea di sacro: “Non so cosa sia, da laico per me è sacro ciò che nella biografia di un individuo non viene dimenticato. Quanto al discorso sul sacro a Napoli, possiamo dire che il profano è serbatoio del sacro, come hanno spiegato tanti antropologi. Religiosità e profano si alimentano e tutte queste cose convergono nel personaggio di Peppe Lanzetta che non voleva essere provocatorio né offensivo”.

Peppe Lanzetta è un vescovo dai capelli tinti di nero corvino e dal corpo coperto di preziosi crocefissi, un personaggio pagano e terreno. “Ho visto il film come un quadro impressionista – ha detto lo scrittore e drammaturgo napoletano – Paolo, che seguo e amo anche come scrittore, mi ha aiutato a scendere nella mia anima e a farmi tirare fuori cose che avevo paura di incontrare. Il mio personaggio riesce a intendere l’altro senza parlare, come fanno i veri seduttori. In quella scena c’è poesia, è un misto tra letteratura e grande cinema e coglie le mie due anime”.

Luisa Ranieri è Greta Cool, la diva andata via da Napoli e che torna piena di disprezzo e risentimento. “E’ una donna disillusa, sul viale del tramonto. Quando incontra la città, le viene fuori il passato, la frustrazione rispetto a quello che voleva essere da giovane. E’ un personaggio amaro che poco mi somiglia, una bella sfida per una solare come me”.

Forse ancor più difficile il personaggio di Flora Malva, l’agente degli attori ed ex attrice, interpretata da Isabella Ferrari, con il volto coperto, che si intuisce sfigurato dalla chirurgia estetica. “Ci sono cose belle e uniche in questo personaggio. E’ stato bello usare una maschera, tra l’altro disegnata da Yves Saint Laurent, non guardarsi allo specchio i capelli e le rughe e lavorare col corpo e con la voce. Sono un’ex attrice, abbandonata, sola che dice cose interessanti alla giovane Parthenope. Tra queste una: la bellezza ammalia i primi dieci minuti e irrita per i successivi dieci anni. Da giovane ho iniziato grazie alla mia bellezza e ho conosciuto il pregiudizio che si trasformava in rancore”.

Silvio Orlando sta lavorando a teatro. Di lui parla Sorrentino: “Silvio è il legame del film al realismo. C’è qualcosa di vero e reale tra lui e Parthenope. Si chiama Marotta non in omaggio allo scrittore napoletano, anche se forse sì per la cultura che Marotta rappresenta. E’ una figura paterna ed è capace di riconosce il dolore di Parthenope, tra loro ci sono comunicazioni veloci, poche parole. Gli unici due modi per saltare la formalità sono il dolore e la seduzione”.

Il film, girato tra Napoli e Capri, è una co-produzione Italia-Francia prodotto da The Apartment Pictures, una società del gruppo Fremantle, e Pathé in associazione con Numero 10, in associazione con PiperFilm – che lo distribuirà in Italia – e Saint Laurent.

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