PAOLO GENOVESE E LUCA MINIERO


Paolo Genovese e Luca Miniero Di mestiere Paolo Genovese e Luca Miniero fanno i pubblicitari. E proprio tra uno spot e l’altro hanno scoperto la passione per i cortometraggi. Un genere che a loro ha subito portato fortuna. Una menzione ai Nastri d’argento, una nomination ai David di Donatello, un premio al Festival di Locarno e un riconoscimento a quello di Capalbio (guarda il loro corto sul sito ufficiale del festival) sono alcuni segni del loro successo.

I corti sono ancora un genere di serie B o le cose stanno cambiando?
Paolo: In passato la questione era semplice: non c’era un mercato, non c’erano luoghi o festival dove far girare i prodotti e quindi non c’era un pubblico interessato al genere. Da un po’ di tempo, però, le cose stanno cambiando anche qui in Italia e i cortometraggi cominciano avere una loro autonomia e una loro identità.
Luca: Il mercato rimane comunque limitato. Nella maggior parte dei casi chi fa un corto è un regista che aspira a girare un lungometraggio e sceglie questo genere per ragioni economiche e per avere un po’ di visibilità.

Quindi anche voi non siete dei puristi del genere e sognate di fare un film?
Piccole cose di valore non quantificabile Paolo: In realtà il 20 maggio iniziamo le riprese di Incantesimo napoletano, un film prodotto da Gianluca Arcopinto. E’ la storia di una donna napoletana che nasce con un problema linguistico: parla soltanto uno strano dialetto milanese. Da questa condizione prendono il via una serie di situazioni surreali.
Luca: Stiamo ancora lavorando al cast, per ora siamo al venti, trenta per cento del lavoro. Sul set dovremmo anche riuscire a portare Clelia Bernacchi, un’attrice di teatro di 85 anni, che ha lavorato anche al Piccolo di Strehler.

La vostra esperienza di cortisti vi ha aiutato per arrivare ai lungometraggi?
Paolo: Girare dei cortometraggi è senz’altro una palestra molto utile. Questo mestiere ha bisogno di pratica, di imparare direttamente sul set tutto quello che è la parte artigianale di questo lavoro.
Luca: Il fatto è che la gente non ha più pazienza, quindi avere familiarità con la forma breve e con un certo stile comunicativo è importante. Quello che si impara confrontandosi con i cortometraggi è la centralità dell’idea. Alle volte per far venire fuori il nucleo narrativo bisogna rinunciare a qualcosa, una specie di delitto contro la propria creatività in nome dell’idea.

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02 Marzo 2001

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