Paola Cortellesi: “Così do voce alle donne maltrattate”

Girato a Cinecittà, il primo film da regista di Paola Cortellesi, in bianco e nero, è anche un omaggio al neorealismo rosa


Film d’apertura della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma 2023, C’è ancora domani è l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, attrice amatissima della commedia intelligente e sagace. Un esordio riuscitissimo, omaggio al neorealismo rosa, atto di giustizia nei confronti di tante donne, di ieri come di oggi, che rimangono senza voce, massacrate in famiglia, ridotte a stracci, spesso uccise dai loro uomini per un malinteso senso di possesso.

In uscita il 26 ottobre in 500 copie con Vision Distribution, il film, prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside,  società del gruppo Fremantle, e da Vision Distribution, società del gruppo Sky,  è scritto da Paola insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda, già suoi complici nei film da attrice, come Scusate se esisto o Come un gatto in Tangenziale.

C’è ancora domani è ambientato nel dopoguerra, a metà degli anni ’40, a Roma, in un quartiere popolare. Cortellesi si ritaglia il ruolo di Delia, una giovane moglie di famiglia modesta che sbarca il lunario con piccoli lavoretti e si occupa dei due figli maschi e della figlia adolescente Marcella (Romana Maggiora Vergano). Maltrattata e vessata dal marito Ivano (Valerio Mastandrea), abbozza sempre, si dà da fare per tenere la casa in ordine, cerca di guadagnare qualche soldo, si occupa del burbero suocero il sor Ottorino (Giorgio Colangeli), da tempo allettato, e convinto che sia meglio “picchiare la moglie una volta sola ma forte, anziché tutti i giorni”. L’unico conforto di Delia è Marisa (Emanuela Fanelli) che ha un banco al mercato di Testaccio e le vuole davvero bene, mentre il vicino di casa con l’officina da meccanico (Vinicio Marchioni) è da sempre innamorato di lei. Nel cast anche Francesco Centorame, il fidanzato di Marcella, ragazzo di buona famiglia che rivela anche lui un lato maschilista. Un plot semplice che si arricchisce di belle invenzioni di regia, come la violenza domestica trasformata in danza, i lividi che magicamente svaniscono, e di snodi narrativi inattesi da non rivelare, come quella lettera misteriosa che Delia non legge mai ma che nasconde gelosamente tra gli aghi e i fili del cucito e che segnerà un passaggio di testimone tra lei e la figlia. Mentre Valerio Mastandrea afferma: “Da questo film, che dipinge tre generazioni di uomini, si possono trarre un sacco di conclusioni: le donne oggi hanno più consapevolezza e coraggio nel ribellarsi, ma non è cambiato quello che trovano fuori. Nell’uomo non vedo differenza tra ieri e oggi e allora bisogna raccontare un uomo più fragile ma non per questo perdente, cambiare la mentalità nel profondo”.

Paola Cortellesi, da cosa nasce questa storia?

Nasce passo passo con Furio e Giulia con la voglia di raccontare la vita di quelle donne che nessuno ha mai celebrato. C’era un’immagine iniziale, quella di uno schiaffone sulla faccia, con una povera Cenerentola a riceverlo. Le bisnonne e le nonne hanno raccontato storie incredibili che si consumavano nei cortili delle case, davanti a tutti, sono donne che hanno costruito il tessuto sociale del nostro paese ma si sono sempre considerate delle nullità. Queste donne non erano consapevoli delle violenze che subivano, perché era stato insegnato loro che non valevano niente. Mia nonna ci dava tanti consigli ma chiosava sempre con un “tanto che capisco io?”. Abbiamo unito i nostri racconti personali e la consulenza della storica Teresa Bertilotti in un quadro d’insieme.

La violenza domestica non è purtroppo un retaggio del passato ma tuttora drammaticamente attuale.

Certo, e ci siamo documentati. Abbiamo sbobinato gli atti processuali dei femminicidi. La costante è lo svilire la persona, farle terra bruciata intorno, una dinamica che purtroppo resiste. Come il divario salariale. Ci sono le leggi, ma il divario resta. Queste cose che sembrano così lontane hanno fortissime radici nella vita contemporanea. Anche nel mondo del cinema esiste il gender pay gap. Ricordo un commento su un mio contratto a inizio carriera: “niente male per essere una donna”. Anche un altro nostro film, Scusate se esisto, nasceva da esperienze dirette, quando parlavo gli interlocutori non mi guardavano mai, ero invisibile, guardavano solo i miei colleghi uomini.

Perché ha scelto di stemperare la violenza con sequenze coreografate o con il livido che scompare.

Non volevo rendere la violenza con eccessivo realismo, non volevo che tutto venisse travalicato dal voyeurismo. Mi piaceva raccontare la violenza domestica come un rituale. Inoltre, nella testa di Delia, le percosse spariscono davvero, lei se le lascia alle spalle come niente fosse. Anche l’uso di un brano romantico come Nessuno nella versione di Petra Magoni e con il contrabbasso di Ferruccio Spinetti acquista un aspetto sinistro. L’eternità diventa una condanna.

Le musiche sono molto importanti nel film.

Le  avevo chiarissime fin dalla fase di scrittura. Brani di Jon Spenser, Oukast, Fabio Concato, Lucio Dalla, Daniele Silvestri, ma anche brani d’epoca come Aprite le finestre o Perdoniamoci di Achille Togliani. E poi le musiche originali di Lele Marchitelli.

C’è ancora domani è un titolo che rinvia al futuro, a una possibilità aperta nonostante tutto. Si rivolge alle nuove generazioni?

Sono felice che il film lo vedano i giovani. Del resto tra i libri che ci hanno ispirati, consigliati dalla nostra consulente storica, c’è Nina e i diritti delle donne, un libro per le bambine che mi ha illuminato. Mia figlia era incredula quando glielo leggevo. Non credeva che fossimo così tanto discriminate, senza il divorzio, il voto. Queste conquiste non sono eterne, bisogna combattere per mantenerle. Una lettera che arriva da qualcuno tanto più importante dei tuoi aguzzini domestici può darti il coraggio di sentire che conti qualcosa. Ci piaceva che Delia si salvasse da sola, grazie a una spinta d’amore verso sua figlia e non grazie a un uomo, anche se non abbiamo niente contro gli uomini e il personaggio di Vinicio Marchioni lo dimostra.

Si è molto occupata di Nilde Iotti, prima a teatro e poi nel documentario di Peter Marcias. Cosa le ha dato questa madre della patria a cui dobbiamo tante conquiste del dopoguerra e che è in un certo senso il controcampo “liberato” di Delia?

Nilde Iotti l’ho incontrata inizialmente per il reading di Piero Maccarinelli Leonilde e quindi per il documentario di Peter Marcias. Nilde fa parte delle donne che hanno rischiato la propria vita, erano ragazzine ribelli, staffette partigiane che nascondevano le munizioni, dodicenni che facevano cose molto coraggiose. Sono donne eccezionali che ci hanno salvato e che hanno permesso di scrivere una Costituzione così bella e completa come la nostra. Nilde diceva che i diritti non sono eterni ed è vero, pensiamo a quello che sta accadendo in Iran. Siamo la parte più debole e possiamo essere attaccate.

La scelta del bianco e nero è un omaggio al neorealismo.

I racconti dei vecchi li immaginavo comunque in bianco e nero, ma certamente c’è un richiamo al cinema dell’epoca, in particolare al neorealismo rosa. Abbiamo rivisto film come Campo de’ fiori di Mario Bonnard, Abbasso la ricchezza di Gennaro Righelli. Nel neorealismo rosa ci sono persone reali inserite dentro un contesto romantico. E poi naturalmente c’è Anna Magnani, un riferimento naturale con film come Roma città aperta e Bellissima, dove non manca mai un tocco di ironia.

Quando ha pensato a Valerio Mastandrea per il ruolo di Ivano?

Non avevamo pensato a lui in fase di scrittura, ma a un uomo più brutale anche nell’aspetto. Però sarebbe diventato un mostro e un mostro è qualcosa di eccezionale. Invece Ivano è vittima di uno schema e anche ridicolo. Non è un orco ma piuttosto un idiota. Il nostro senso del ridicolo non ci consente di fare una scena troppo d’amore, troppo drammatica… Il doppio registro è l’unico linguaggio che conosciamo. Anche Come un gatto in Tangenziale o Scusate se esisto hanno una base drammatica.

Avete girato a Cinecittà.

Paola Comencini, una scenografa tra le più brave, ha costruito l’appartamento a Cinecittà e scelto il cortile a Testaccio per gli esterni, oltre al mercato di Piazza Testaccio. Tutto poi corretto con gli effetti digitali per togliere i segni dell’oggi, come le antenne paraboliche.

Continuerà a fare la regista?

Come no? È una crescita bellissima per me. Un ruolo che mi dà una visione più ampia dell’insieme. Vorrei passare direttamente al terzo film, come Troisi.

Cristiana Paternò
18 Ottobre 2023

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