VENEZIA. “Mi è stato proibito per 20 anni di fare il regista e di scrivere sceneggiature, ma non di fare l’attore o di leggere una mia vecchia sceneggiatura”. Così il regista iraniano Jafar Panahi, condannato a 6 anni di prigione e al divieto di lasciare l’Iran, tranne per il pellegrinaggio alla Mecca, in This is not a film, girato la scorsa primavera da Mojtaba Mirtahmasb e distribuito da Cinecittà Luce e presto in visione su Cubovision® di Telecom. Panahi, arrestato per la partecipazione ai movimenti di protesta contro il regime di Ahmadinejad è in attesa della sentenza definitiva e ora è libero di muoversi in Iran. E’ lui il protagonista di questo toccante diario quotidiano della sua condizione di regista a cui è stato impedito di esercitare il suo mestiere.
Panahi è dunque “prigioniero” nel suo appartamento mentre fuori per le strade è in corso la tradizionale Festa del fuoco, che celebra il nuovo anno, il 21 marzo per il calendario islamico. Vediamo il cineasta parlare al cellulare con il suo avvocato di come si mette la sua vicenda giudiziaria. E pare non bene. I momenti di sconforto sul set di questo ‘non film’ tra le pareti domestiche, sentendosi come quella bambina protagonista di una sua pellicola che improvvisamente, scorrono le immagini, abbandona il set ‘perché è tutto finto’. E soprattutto vediamo Panahi impegnato a leggere una sua sceneggiatura mai approvata, nonostante le modifiche chieste dalla commissione di censura, e ricostruire nel salone di casa, o meglio immaginare una sequenza in interni.
E infine c’è l’incontro casuale con un giovane studente universitario, emblema di una generazione senza futuro e costretta ad arrangiarsi per vivere.
A Venezia si tratta della prima italiana ufficiale di This is not a film dopo che è arrivato clandestinamente, attraverso una chiavetta USB, all’ultimo Festival di Cannes dove è stato presentato.
Panahi ovviamente non è a Venezia e al suo posto, come accaduto a Berlino e a Cannes, c’è una poltrona vuota durante la tavola rotonda su “Cinema e diritti umani” coordinata da Luca Telese nello Spazio Cinecittà Luce. Il regista de Il cerchio (Leone d’Oro a Venezia 2000), ma tanti sono i riconoscimenti avuti a Berlino, Cannes, Locarno, parla però oggi in un’intervista alla ‘Repubblica’ dicendosi convinto che “il film verrà allegato ai capi d’accusa durante il processo d’appello” ma resta ottimista sul futuro dell’Iran: “Siamo una nazione piena di giovani e tanti di essi nutrono speranza per il futuro, la loro speranza è la speranza del nostro Paese”.
Nel corso della tavola rotonda il giornalista e scrittore iraniano Ahmad Rafat sottolinea come la vicenda di Panahi sia emblematica della condizione di tanti altri registi, ma anche attori iraniani, della volontà del regime di cancellare il cinema d’autore indipendente, quello non sovvenzionato o aiutato dallo Stato, e ricorda i registi condannati come Mohammad Rasoulof o costretti ad andarsene all’estero come Babak Payami, la famiglia Makhmalbaf e Bahman Ghobadi, per citarne alcuni.
L’AD Luciano Sovena ricorda d’impegno di Cinecittà Luce a favore dei registi iraniani, a cominciare da Panahi e Rasoulof, a cui viene impedito dal governo del loro Paese di girare film. “Sono contento e commosso di sapere oggi dall’intervista di Panahi che le immagini di Bernardo Bertolucci che legge l’appello del regista iraniano, nella serata da noi promossa insieme ad altri a Roma, siano arrivate alla popolazione iraniana via tv satellitare, ma anche via You Tube, a conferma del valore del nostro impegno”.
Carlo Brancaleoni ricorda come Rai Cinema a Venezia sia presente con i documentari Out of Tehran di Monica Maggioni, ritratto di rifugiati iraniani, e Io sono. Storie di schiavitù di Barbara Cupisti, viaggio attraverso i racconti e le condizioni di vita dei migranti. Per la regista Cupisti è importante che la Rai e la Mostra di Venezia siano le case dei diritti civili e parlino senza paura, in modo diretto di queste realtà invisibili e spesso inascoltate.
Il regista siriano Charif Kiwan del collettivo Abounaddar definisce il suo lavoro ‘cinema dell’urgenza o dell’emergenza’: “Fin dall’inizio abbiamo documentato con brevi filmati su You Tube la protesta e le manifestazioni nel Paese. Ci siamo però accorti che c’era il rischio dell’assuefazione alle immagini di violenza e sangue, così cerchiamo di contrapporre alla barbarie l’umanità”. Per il regista egiziano Amr Salama ogni singolo frame è qualcosa che cambierà il mondo e la gente.
In chiusura gli interventi di Mariagrazia Giammarinaro Rappresentante Speciale e coordinatrice per la lotta alla tratta di esseri umani-Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), e di Riccardo Noury, portavoce Amnesty International sezione italiana.
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