Vestito a fiori (quello di sua madre), l’unico elegante in mezzo a tute in acetato e magliette iper-colorate piene di strass, borsa argentata e sguardo insolente. Pamela, giovane donna protagonista di Sola al mio matrimonio, si allontana di notte da un piccolo villaggio innevato in Romania, alla ricerca di una vita nuova, all’estero, ma soprattutto di un marito, un uomo “che si lavi e sia gentile”. L’esordio al lungometraggio di finzione di Marta Bergman, che arriva nelle sale italiane dal 5 marzo, nella settimana della festa della donna, è un racconto di formazione che segue le vicende di una ragazza madre che vive in un comunità Rom, che sogna libertà e mondi da esplorare, e che abbandona nonna e figlia, che pur ama tanto, per partire alla volta del Belgio, con la speranza di poter cambiare il suo destino attraverso l’incontro con un uomo che ha conosciuto tramite un’agenzia matrimoniale che organizza appuntamenti a distanza. Una realtà, quella delle agenzie matrimoniali, che pare essere ancora vivace in Paesi che, in qualche modo, continuano a vedere nell’Occidente il miraggio di un vita da sogno: “Le agenzie sono ancora presenti nella Romania di oggi”, assicura la regista. “Nonostante internet e i diversi siti di incontri online, in tanti continuano a rivolgersi a questo servizio perché lo ritengono più affidabile e capace di offrire maggiori garanzie”.
“La protagonista – continua la regista – ha degli aspetti realistici, ma anche molti altri romanzati. Volevo che fosse un’eroina, è così appare soprattutto nel finale. Forse nella realtà una persona nella sua situazione avrebbe fatto una scelta diversa, sarebbe rimasta a vivere con un uomo che non ama”. Pamela sogna, si proietta in qualcosa di più grande, in un altrove. È ciò che la distingue dalle altre ragazze del villaggio. Tracciando il suo percorso che la porta lontano in un nuovo Paese e contesto, scopre l’amore che nutre per sua figlia e trova in sé stessa le risorse per allevarla da sola.
“Avevo girato, nei miei lavori precedenti, in luoghi simili a quelli in cui vive la protagonista, dove avevo incontrato personaggi che mi avevano colpito, con sogni molto simili a quelli di Pamela, con quella stessa voglia di partire alla scoperta del mondo. Un desiderio comune tra le donne che ho incontrato”, racconta Marta Bergman, che già nei suoi documentari aveva raccontato il suo paese di origine, la Romania, indagando in particolare nella comunità Rom. Tra i temi affrontati, oltre a quello della comune emancipazione, uno sguardo particolare va all’emarginazione e alla discriminazione, che nella pellicola vien mostrata a più livelli. Pamela è, infatti, più volte emarginata: è Rom in Romania, è donna, non è per niente secolarizzata ed è una mamma non sposata, condizione socialmente malvista.
Sola al mio matrimonio è un film girato con la telecamere vicina ai protagonisti (“nonostante sia un film di finzione ho cercato di mantenere un approccio documentaristico, perché quando giro mi piace stare molto vicino alle persone”), di cui segue evoluzioni e percorsi di emancipazione: non solo quello più evidente di Pamela, ma anche quello dell’uomo belga che incontra e con cui va a vivere, Bruno, “un personaggio con un malessere e una tristezza profonda, un uomo che ha qualcosa di rotto dentro, profondamente introverso, che ha bisogno che arrivi qualcosa da fuori di estroverso, Pamela in questo caso, per poterlo cambiare”.
Il film è stato presentato nella sezione ACID al Festival di Cannes, ed è stato acclamato a numerosi festival internazionali, tra cui il Rome Independent Film Festival, dove ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria e il premio alla protagonista Alina Serban come miglior attrice. A distribuire il film nella sale italiane Cineclub Internazionale Distribuzione.
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