Un personaggio inafferrabile, un anti-biopic, un lavoro sul tema del doppio… Neruda di Pablo Larrain è tutto questo e molto di più. Il sesto (e penultimo) film del grande talento cileno ruota attorno alla figura del poeta in un momento straordinario della sua vita, i quasi due anni di latitanza, quando era senatore del Partito Comunista e venne messo sotto accusa dal presidente Gabriel Gonzalez Videla. Il film, che rappresenterà il Cile agli Oscar – ma Larrain potrebbe essere in corsa anche con Jackie, il suo primo film in lingua inglese – sarà in sala con la Good Films dal 13 ottobre.
Siamo nel Cile del 1948, Pablo Neruda (Luis Gnecco) è un intellettuale amato dal popolo, una personalità di spicco del Paese, un uomo corpulento e gaudente, piuttosto viziato. Vive una vita dorata insieme alla seconda moglie, la pittrice Delia del Carril (Mercedes Moran). Tuttavia le sue aperte critiche al presidente (Alfredo Castro) che pure aveva appoggiato alle elezioni, lo fanno bollare come traditore della patria. Comincia a nascondersi, aiutato dall’apparato del partito, anche se sono numerose le sue sortite in giro per Santiago (ama visitare i bordelli). Lo insegue un poliziotto ostinato e ottuso Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal), figlio di una prostituta, che trova in questa battaglia una ragion d’essere, anche perché il poeta – che proprio in quel periodo sta componendo uno dei suoi capolavori, il Canto General – lascia libri e messaggi sul suo cammino destinati proprio al piccolo e insignificante sbirro. Il film ha avuto una lavorazione lunga e complessa durata cinque anni, tanto che durante una pausa Larrain ha realizzato Il Club con cui ha vinto l’Orso d’argento a Berlino.
Qual è la prospettiva storica della narrazione e quali sono i punti di contatto con il presente?
Siamo nel 1948, alla fine della seconda guerra mondiale, dieci anni prima della rivoluzione cubana, trenta anni prima di Allende, è un mondo che definirei modernista. E’ difficile fare raffronti con l’oggi, allora metà del mondo era comunista, i fascisti erano stato sconfitti da poco. Nel fare un film storico è importante non essere ingenui poiché sappiamo cosa è successo dopo, abbiamo il senno di poi. Sappiamo che l’anima del Cile è stata distrutta dal bastardo Pinochet, ma allora la gente sognava un paese che non si è mai realizzato. Quando Neruda ha ricevuto il Premio Nobel, nel 1971, ha letto un discorso in cui si riferisce esplicitamente all’epoca della fuga e dove dice di non sapere se ha vissuto quel periodo, lo ha sognato o lo ha scritto.
Perché ha scelto proprio questi mesi della sua lunga biografia?
Perché è la chiave del film, che vuole essere un film sull’universo nerudiano e non su Neruda. E’ un personaggio troppo vasto, complesso e profondo. Noi abbiamo inventato un mondo, esattamente come lui aveva creato il suo. Abbiamo scritto il romanzo che ci avrebbe fatto piacere che leggesse, quasi un poema su di lui.
Come vi siete documentati con lo sceneggiatore Guillermo Calderon?
Ci sono molte biografie di Neruda, noi ne abbiamo scelte tre, tra cui la sua autobiografia Confesso che ho vissuto; poi abbiamo anche intervistato molta gente che lo conobbe personalmente. Era un amante della cucina, del vino e delle donne, un diplomatico che ha viaggiato in tutto il mondo, un esperto di letteratura, un appassionato di romanzi polizieschi, un uomo politico, senatore del Partito Comunista. E’ stato il massimo poeta del Cile e forse del mondo intero. All’inizio tutto questo mi terrorizzava, ho pensato che fosse impossibile fare un film su di lui, ma quando ho scelto una chiave diversa mi sono sentito libero. Neruda è nell’acqua, nelle piante, nell’aria, la mappa del Cile l’ha fatta lui. Io me lo porto addosso.
Poeta e uomo politico: come avete conciliato questi due aspetti della sua personalità?
In lui non puoi separare il poeta dal politico, erano altri tempi. Immaginate un poeta americano che scrivesse oggi poesie contro Donald Trump, sarebbe assurdo. Ma Neruda nel Canto General parla proprio dei leader dell’America Latina dicendo cose terribili ma in forma poetica. Come gli altri artisti dell’epoca, con la sua opera voleva cambiare il mondo, influenzare i suoi lettori. La mia generazione non potrebbe più. Noi, come dice il subcomandante Marcos, ci limitiamo a presentare un problema perché anche gli altri se ne facciano carico.
Il film è anche un road movie.
E’ un road movie, un anti biopic, un omaggio al noir degli anni ’40/50, una commedia nera, un western e un film sulla comunicazione. Mi piace mostrare come un personaggio cambia nel viaggio. Neruda, in questo momento della sua vita, costruisce la sua leggenda. Ma è importante anche Oscar Peluchonneau, lo sbirro, sono due personaggi in crisi che hanno bisogno uno dell’altro per poter capire il mondo, alla fine è una storia d’amore puro. Non voglio dire di più per non rovinare la visione…
Come ha costruito la narrazione antirealistica che gioca con lo spettatore nel tempo e nello spazio?
Quando mio fratello, che è il mio produttore, mi ha chiesto di togliere venti pagine alla sceneggiatura perché il budget non era sufficiente, ci siamo chiusi in casa per una settimana a lavorare, io e Guillermo, e alla fine avevamo venti pagine in più, un tomo grosso così. Invece di pensare una storia lineare, è tutto costruito a pezzi, sono attimi, momenti, che poi verranno assemblati nel montaggio finale. Il cinema è atmosfera, è qualcosa di viscerale. Quando il regista ti serve tutte le risposte, ti dice chi è buono e chi è cattivo, non mi piace. Un film deve essere aperto. La dialettica tra il pubblico e lo schermo è come quella del sesso fatto bene. Questo è un film su Neruda con una struttura alla Borges. Il realismo lo trovo soffocante, non fa per me.
Cosa c’è di vero e cosa di inventato nel plot?
Il poliziotto è esistito veramente e si chiamava proprio così, ma è tutto il resto è inventato. Neruda attraversò veramente la Cordigliera per entrare in Argentina. Lì fu aiutato da persone che non sapevano chi fosse, anche se era famoso come una rockstar, ma loro non leggevano i giornali e non ascoltavano la radio, e capì il valore della fraternità, come dirà poi nel discorso di accettazione del Nobel.
Leggi anche Neruda, il falso biopic
In sala dal 25 al 27 novembre con Lucky Red, il documentario di Kaku Arakawa svela il dietro le quinte della creazione de 'Il ragazzo e l'airone". Un regalo ai fan del maestro dell'animazione giapponese
Basato sul romanzo bestseller di Gregory Maguire, è al cinema uno dei musical più amati di sempre
Intervista a Arianna Craviotto, Gigi & Ross e Sissi. Il film d'animazione è dal d22 novembre su Netflix
Intervista a Leo Gullotta e Mimmo Verdesca. Il film in sala dal 5 dicembre con 01 Distribution