Ovunque sei


Ovunque seiPirandello, Caproni, Dante Alighieri… “alla ricerca di un’eternità nuova, di un senso degli ultimi respiri che solo l’indistruttibilità dell’amore può far comprendere”. Michele Placido al suo film più difficile, per il tema e per lo stile da melodramma trascendentale, affronta il concorso di Venezia, che qualche edizione fa l’aveva premiato per Un viaggio chiamato amore, con la Coppa Volpi a Stefano Accorsi e poi con un grande successo di pubblico. Stesso interprete e stesso romanticismo fauve, come lo definisce uno dei produttori, Riccardo Tozzi, per questo quartetto amoroso che si muove pericolosamente sull’abisso inesplorato che separa la vita e la morte. “Ho 58 anni, è inevitabile che mi faccia certe domande, la morte la vediamo nei telegiornali ma bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia direttamente. In questo film i morti guardano i vivi e la cosa forse è un po’ macabra, forse può suscitare ilarità, com’è accaduto alla proiezione per i critici, non lo nego, ma io la sentivo così e così l’hanno scritta i miei sceneggiatori: Umberto Contarello, Francesco Piccolo, Domenico Starnone”.
Racconta la genesi del progetto, l’attore-regista, in attesa del verdetto per lui più importante, quello del pubblico veneziano e poi degli spettatori in sala, dove Ovunque sei arriverà in 260 copie dal 22 ottobre distribuito da 01. “Avevo voglia di lavorare ancora con Stefano Accorsi e mi frullavano in testa le parole di Pirandello: chi vive, quando vive, non si vede, vive& ma se uno può vedere la propria vita&”.
Ovunque seiCosì il medico di pronto soccorso (Accorsi) e la giovane volontaria (Violante Placido) osservano il loro mondo svanire mentre si allontanano dall’esistenza, come una lampadina che è già spenta ma emana ancora calore. Tesi rischiosa, laica ma non materialista. Tuttavia Placido non è nuovo alle sfide anche impervie. “E’ un artista in cui l’energia prevale sulla pulizia, mai deprimente, mai noioso, si fa fischiare, si arrabbia, è vitale”, dice Tozzi. Mentre Macchitella, che ha coprodotto con Rai Cinema: “Volevamo ripetere il successo di Un viaggio chiamato amore, un film di qualità ma anche commerciale. Il risultato, secondo noi, è pari alle aspettative, ed è qualcosa di nuovo e provocatorio rispetto al cinema italiano”.
Pentiti di aver accettato il concorso? “Da anni non vorrei andare ai festival, mi affaticano i cerimoniali e il mio film era pensato soprattutto per andare incontro al pubblico”, confessa il regista, che a lungo aveva opposto resistenza all’idea di partecipare alla competizione. ”Ma Müller ha amato a tal punto il film che non potevamo dire di no”. Accanto a Placido gli attori: la figlia Violante, per la prima volta diretta dal padre; Accorsi con i baffi di Dino Campana, che sorride perplesso quando gli dicono che il suo nudo integrale ha suscitato qualche sghignazzo; infine Barbora Bobulova e Stefano Dionisi, che nel film sono i vivi, coloro che restano e che devono continuare a vivere. Dal film anche un libro, edito da Marsilio, con la sceneggiatura integrale, un’introduzione di Cristina Comencini, e le foto di scena.

autore
06 Settembre 2004

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