‘Origin’, Ava DuVernay omaggia Primo Levi

Si parte dal Premio Pulitzer Isabel Wilkerson, protagonista, e ci si addentra nella sua teoria sulla casta, per cui “dobbiamo considerare l’oppressione senza farla girare intorno alla razza"


VENEZIA – C’è Isabel, la figlia, con una mamma anziana che a malincuore lascia in una casa di riposo; la moglie, di Brett, che spesso l’accompagna in Europa per i suoi viaggi di lavoro: lei è Isabel Wilkerson (Aunjanue Ellis-Taylor), Premio Pulitzer, e la sua storia di essere umano e di scrittrice è il centro da cui s’irraggia Origin, film di Ava DuVernay, in Concorso.

In principio – e in epilogo – è però la vicenda dell’assassinio di Trayvon Martin a fare da apertura/chiusura, perché – spiega la sceneggiatrice, regista e produttrice – “durante i dialoghi con la Wilkerson mi ha parlato di come l’assassinio abbia scaturito le riflessioni, ecco perché aprire e chiudere il film con il suo volto. Martin è diventato un po’ il caso che ha spronato i dialoghi sull’argomento”.

Dunque, la vita reale di Isabel s’intreccia con quella di Trayvon, le soddisfazioni e i drammi del vero s’intessono con lo studio, per la scrittura del libro in fieri, che – costringendola a confrontarsi con la morte, non una sola volta – la porta oltre il suo Paese, gli Stati Uniti, una delle terre chiamate in causa, ma approdando poi anche nella Germania nazista (in flashback) e nell’India contemporanea. Il cuore dello studio di Isabel è la ricerca delle connessioni tra razzismo verso persone di colore, verso persone di fede ebraica e verso i dalit.

“E’ avvenuto quindi può accadere di nuovo”: queste frase di Primo Levi si legge su una parete del Museo dell’Olocausto che la Isabel del film visita – e che la regista ha apprezzato sia stata recepita, perché temeva che il troppo breve tempo di permanenza nell’inquadratura la facesse sfuggire – e questo concetto s’intesse con il punto di vista poi espresso da lei: “dobbiamo considerare l’oppressione senza farla girare intorno alla razza”. Per la sua teoria, è una questione di casta, non di colore della pelle, non di Credo, ma della necessità di un soggetto sociale di poter esercitare potere nella società, prassi possibile solo se esiste un altro soggetto verso cui praticarla, pertanto, quella dell’oppressione, è una meccanica propria di tutte le forme societarie, delle collettività e, dunque, del quotidiano di ciascuno, ecco perché anche “l’invito” all’endogamia, letta anche in senso più metaforico. Il film è stato ispirato al romanzo Caste: The Origins of Our Discontents, della stessa Isabel Wilkerson.

“Ho letto il libro ed ero affascinata dalle idee di Isabel Wilkerson, ho pensato che tutti volessero sperimentare e conoscere le idee della casta. Ho letto il libro tre volte e quasi ho sentito la sua voce, così sono rimasta affascinata anche dalla scrittrice stessa, lei è stata la chiave; insieme, abbiamo tenuto una decina di incontri”.

Per il cast in cui – data la storia – Isabel è il centro biografico e concettuale, oltre a Aunjanue Ellis-Taylor, anche SurajYengde, parte di un gruppo d’interpreti misto, di attori professionisti e persone reali che interpretano se stesse, come nel caso del ricercatore indiano: “mi interessava la collisione, per creare una rete di umanità”, spiega DuVernay, che nello specifico sul ruolo della protagonista poi aggiunge: “non credo avremmo ottenuto gli attori che volevamo negli Studios, perché lì c’è un grande controllo sui ruoli. Lei credo sia una forza della natura, entra in scena e tutti fanno silenzio, non perché lo richieda ma perché entra profondamente dentro al personaggio. Lei voleva la parte, me l’ha chiesta: ci siamo allineate, abbiamo scambiato idee, è stata un’esperienza molto dinamica. Non ho attori super star a Hollywood e questo ci fa domandare molto sul valore che diamo a certi artisti”.

Le riprese del film sono durate 37 giorni: “come registi di colore – spiega l’autrice – ci viene spesso detto che le nostre storie non interessano al di fuori dei nostri contesti, e che è inutile cercare di partecipare ai festival, che tanto non accedi ai bandi. Quindi io spero la Mostra lascerà aperta questa porta” e, ampliando la riflessione anche al soggetto del film, chiosa dicendo che “quando parliamo di immaginare un futuro credo che la creatività nell’arte rifletta la giustizia: da artisti dobbiamo creare mondi che non esistono, per riuscire a ottenerla. Giustizia e Arte sono allineate: nel cercare la Giustizia possiamo far sì che l’Arte faccia parte delle vite di tutti noi”, conclude DuVernay.

di Nicole Bianchi

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06 Settembre 2023

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