Samia nasce a Mogadiscio, in Somalia, durante una terribile guerra civile. All’età di 9 anni scopre di avere un grande talento: corre più veloce di tutti gli altri. Con l’aiuto del suo migliore amico Ali, Samia trasforma questo talento in un sogno: rappresentare la Somalia ai Giochi Olimpici di Pechino nel 2008.
Samia arriva ultima nella gara dei 200 metri femminili, ma il mondo intero fa il tifo per lei in un momento davvero magico. Al ritorno in Somalia, Samia diventa bersaglio delle rappresaglie degli estremisti al potere perché ha corso senza velo, un peccato mortale per loro imperdonabile.
Rischiando la vita, la ragazza decide di intraprendere il viaggio per raggiungere l’Europa. La storia di Samia racconta il coraggio di una giovane donna che sfida un regime brutale e lotta per la sua libertà e per il suo futuro.
È stato rilasciato il trailer italiano di Non dirmi che hai paura, il nuovo film diretto da Yasemin Şamdereli, che sarà nelle sale italiane dal 5 dicembre. Il film è tratto dall’omonimo bestseller di Giuseppe Catozzella, edito da Feltrinelli, e ha già riscosso successo internazionale, ottenendo il Premio Speciale della Giuria al Tribeca Film Festival e il Premio del Pubblico al Munchen Filmfest. È stato inoltre presentato alla 22ª edizione di Alice nella Città.
Il lungometraggio è una coproduzione internazionale che coinvolge INDYCA, RAI CINEMA, Neue Bioskop Film, Tarantula, BIM Produzione e molti altri partner europei. La distribuzione italiana è affidata a Fandango. Il progetto ha beneficiato del sostegno del Ministero della Cultura e di vari fondi regionali, come l’Apulia Film Fund e la Film Commission Torino Piemonte.
La campagna promozionale fa parte dell’iniziativa “Promuovere il Cinema 2024”, finanziata dalla Regione Puglia. Il film promette di essere uno degli appuntamenti più attesi della stagione cinematografica italiana.
Il libro ‘Non dirmi che hai paura’ (Feltrinelli, 2014) è stato vincitore del Premio Strega Giovani e finalista al Premio Strega, e longlisted all’International IMPAC Dublin Literary Award, uno dei premi più prestigiosi al mondo. Pubblicato dai più grandi editori in tutto il mondo, è un caso editoriale che ha venduto più di 500.000 copie solo in Italia e più di 800.000 nel mondo.
“Ho incontrato la storia di Samia Yusuf Omar il 19 agosto del 2012 – racconta Şamdereli – Ero a Lamu, al confine tra Somalia e Kenya, stavo lavorando a quello che sempre di più immaginavo come un romanzo (l’idea iniziale era di farne un reportage), insieme a un ragazzo ex combattente del gruppo integralista armato Al-Shabaab; avevo conosciuto Alì, così si chiama, grazie a un amico che lavorava in una Ong di Nairobi, l’ex soldato voleva raccontare a uno scrittore occidentale la sua storia di ferocia e salvezza (quando l’ho conosciuto teneva i bambini di strada lontani dai gruppi armati, per quella stessa Ong).
Avevamo trascorso assieme due settimane quando, la mattina del 19 agosto, nella sala delle colazioni dell’ostello in cui alloggiavo la TV era accesa su Al-Jazeera English (il posto era semivuoto, io e un paio di coppie – da due anni gli Shabaab avevano preso a colpire e rapire anche i turisti, quindi Lamu si era svuotata, un paradiso con pochi dhow di pescatori locali che tagliavano il mare).
Era l’anno delle Olimpiadi di Londra, che non avevo seguito per niente, essendo al lavoro con Alì. Tra i servizi di quella mattina ce ne fu uno, un solo minuto, in cui veniva intervistato il portavoce del Comitato olimpico somalo, lo seguii mentre imburravo una fetta di pane. Ricordo che quasi gridò al microfono che fine avesse fatto Samia Yusuf Omar. Aggiunse che per la Somalia non c’era possibilità, con la guerra e le Corti islamiche, di coltivare una schiera di atleti competitivi per le Olimpiadi, e ricordò la ragazza che avevano portato a quelle di Pechino del 2008: aveva il sogno di vincere quelle appena trascorse di Londra, e per inseguire il suo sogno, disse, aveva lasciato il suo Paese per raggiungere l’Italia, e invece era morta annegata in mare.
“Che fine ha fatto Samia Yusuf Omar?” Ecco: l’istante preciso in cui sentii nominare il mio Paese (ero uno scrittore italiano arrivato quasi a casa di quella ragazza a bordo di un aereo, con l’agio di qualche settimana di lavoro in Africa), il fatto che Samia fosse morta al largo del mio mare, che per lei s’identificava con la salvezza, in quell’istante seppi che avrei raccontato la sua storia in un romanzo. Non fu una decisione, fu arrendersi a un dato di fatto. Era il 2012 e di migrazioni, di morte in mare, di tratte africane (poi sarebbero state definite “del Mediterraneo centrale”) non si parlava molto. Avevo bisogno di mettere insieme quanti più dettagli possibile sulla sua vita reale, pur sapendo che sarebbe stato materiale necessario ma non essenziale, che solo la letteratura avrebbe potuto raccontare una storia in cui io vedevo la potenza di una tragedia antica: volevo che riecheggiasse in essa il mito arcaico”.
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