Antonello Sarno è al Festival di Roma con un nuovo capitolo di storia del cinema italiano per immagini, Noi c’eravamo, proiettato alla Casa del Cinema in preapertura della kermesse. Il documentario utilizza migliaia di immagini d’epoca fornite dagli archivi di Cinecittà Luce e di Rai Teche (che hanno collaborato alla produzione insieme a Rai Cinema) insieme a oltre 30 interviste a testimoni e protagonisti di ieri e di oggi, per restituirci la storia delle lotte vissute da questo importante settore della cultura italiana. Giulio Andreotti e Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani e Pasquale Squitieri, Carlo Verdone e i giovanissimi Carolina Crescentini ed Elio Germano, raccontano in circa 90 minuti 60 anni di battaglie per la difesa dell’industria e dell’arte cinematografica, dalla celebre e oceanica assemblea di Piazza del Popolo del 1949, con Anna Magnani e Amedeo Nazzari in prima fila, fino all’occupazione del tappeto rosso del Festival di Roma di un anno fa, evento simbolicamente scelto con una strizzata d’occhio al movimento Centoautori per incorniciare in apertura e in chiusura il documentario.
E’ proprio Roberto Cicutto, presidente di Cinecittà Luce, a presentare il film alla stampa insieme a Piera Detassis, direttore artistico del Festival di Roma e Caterina D’Amico, direttore della Casa del Cinema, oltre ovviamente al regista. Cicutto coglie l’occasione per alcune riflessioni a tema: “Al di là della conferma del Fus o del tax credit – dice – il grande merito di questi movimenti e in particolare di quello che si è mobilitato lo scorso anno è stato quello di portare davanti agli occhi dell’opinione pubblica l’idea che il nostro mondo, quello dello spettacolo, è fatto di lavoratori. Ce ne sono centinaia, e il lavoro deve esistere al di là della politica o delle circostanze. Per questo ribadisco la necessità della fondazione di un’agenzia del cinema sul modello del CNC francese, anche se perfino lì, ultimamente, si sta cercando di sottrarre soldi. Ne è nata una rivolta che ha accesso un dibattito rincuorante. Ci sono meccanismi che costituiscono la grande protezione al sistema cinema: produzione, distribuzione, esercizio, promozione. So che a molti di quelli che hanno in passato partecipato alle lotte – come me, ad esempio – ora capita di ricoprire incarichi di responsabilità pubblica. Ma non ci siamo venduti e non siamo cambiati, è stata invece una scelta di consapevolezza per portare a casa ciò che riteniamo non debba essere precario, ma debba restare invece un patrimonio solido”.
Sono molti capitoli di questa storia: dalle battaglie per la legge sul cinema degli anni ’60 alla contestazione sbarcata alla Mostra di Venezia nel 1970, fino alle lotte contro la censura dopo il rogo di Ultimo tango a Parigi, al disperato appello “Non si interrompe un’emozione”, lanciato contro le tv commerciali da un grande come Federico Fellini insieme a Veltroni, poi chiamato a varare provvedimenti per il cinema quando ebbe responsabilità di governo.
Un’ampia pagina è dedicata al Fondo unico dello spettacolo, eterno bersaglio di tagli e austerità. “Noi abbiamo bisogno di buoni produttori e di uno Stato competente e attento alla creatività – dice Carlo Verdone – spesso invece ci siamo trovati di fronte a sprechi inutili e oggi vediamo messo a rischio addirittura il sostegno alla cultura. Ma il cinema è la videoteca delle immagini di ciascuno di noi e mettere a rischio la creatività e l’arte significa azzerare la memoria di una collettività. Non c’è dubbio che i governi, di tutte le colorazioni, si interessino poco al cinema perché non ha peso elettorale, a differenza della tv. Ma oggi non posso non far parte della categoria dei pessimisti e dei preoccupati, perché il precariato strisciante che colpisce tutta la nostra società è spesso drammatico proprio nel campo della cultura, coinvolge studenti e professori e mette a rischio lo sforzo di tutti”.
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