VENEZIA – Veste i panni di una pop star idolatrata dalle folle, Natalie Portman in Vox Lux, secondo lungometraggio di Brady Corbet che torna a Venezia (in Concorso) dopo il suo film d’esordio L’infanzia di un capo, premio miglior regia a Orizzonti e miglior film d’esordio al Festival di Venezia nel 2015. La pellicola segue l’ascesa dell’adolescente Celeste (Raffey Cassidy), sopravvissuta a una violenta tragedia che, dopo aver cantato in un memoriale, si trasforma in una star nascente grazie all’aiuto della sorella (Stacy Martin) e di un talent manager che crede nel potenziale pop della sua storia, interpretato da Jude Law. Ad interpretare Celeste diventata celebrità globale e icona americana, alle prese però con profonde inquietudini, Natalie Portman, che nel film si esibisce tra paillette e lustrini cantando e ballando sul palco come già aveva fatto nel Cigno nero, “un film, però, completamente diverso in tutto”, sottolinea. Il suo personaggio viene travolto dal peso della fama e dell’ambiente pseudo-familiare che la circonda: “C’è una grande differenza nel sistema egotistico che si forma intorno a un cantante rispetto ad altre pop star. Le star musicali, che sono sempre in tournée, si circondano da una sorta di famiglia, che è anche corrotta a causa della mescolanza che si crea tra vita privata e commercio. Noi star del cinema, invece, possiamo anche avere un vero privato perché non siamo sempre in giro, se non quando seguiamo un progetto”.
Sullo sfondo diciotto anni di storia contemporanea, dal 1999 al 2017, segnata da eventi tragici e destabilizzanti, come il devastante attacco terroristico alle torri gemelle, visti attraverso gli occhi della protagonista Celeste. “Quello che ho cercato di fare è una cronaca degli eventi che hanno definito il XXI secolo, marcato dal male e dalle sue manifestazioni – sottolinea il regista – una riflessione collettiva su quello che abbiamo passato negli ultimi venti anni, pieni di ansia, che non vuole essere né didattica né pedagogica”.
Rispetto all’evidente riferimento alla strage di Columbine (il film parte con un’adolescente Celeste che nel 1999 scampa a un attentato in una scuola): “Sono cresciuto a Colorado, vivevo lì quando sono successi gli eventi che hanno avuto un grande impatto nella mia vita e mi hanno segnato psicologicamente. Non ne ho però parlato direttamente perché non volevo sfruttare un momento preciso, ma ho preferito rimanere sul generale”.
“Mi interessano le domande sulla psicologia della violenza di massa e sull’effetto che ha sulle persone venendo io da un posto dove la gente deve affrontare la violenza da così tanto tempo”, ammette l’attrice israeliana naturalizzata statunitense che sottolinea, però, come Vox Lux non voglia mandare un messaggio politico contro le armi alla’America, quanto essere un ritratto della società contemporanea e dell’intreccio che c’è tracultura pop, violenza e spettacolo.
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