Naomi Kawase, la regista sciamana

La regista giapponese è per la quarta volta in concorso con il suo film più compiuto e narrativo, Still the Water, un film che potrebbe affascinare la presidente Jane Campion


CANNES – E’ per la quarta volta in concorso la 44enne Naomi Kawase, con il suo film più compiuto e narrativo, Still the Water, un film che potrebbe affascinare la presidente Jane Campion. Riprendendo i temi che attraversano tutta la sua opera – il rapporto con la natura, la vita e la morte, il dialogo tra le generazioni – e con un tocco documentaristico, l’autrice giapponese ci porta sull’isola di Amami, luogo dal clima tropicale dove gli abitanti vivono a contatto con il mare. E’ il luogo d’origine dei suoi antenati e quando la madre adottiva di Naomi è morta, l’anno scorso, lei ha deciso di scoprire qualcosa di più dei suoi genitori biologici. Da qui ha costruito una sorta di percorso iniziatico permeato di un forte sentimento religioso e dalla profonda accettazione della fine vissuta non come sparizione ma come attraversamento verso altre dimensioni spirituali. “La mia bisnonna – racconta Naomi – era una sciamana. Tutti noi, fin da quando nasciamo, sappiamo che moriremo e la morte è un legame tra questa vita e il mondo che ci attende. Se dimentichiamo che esiste questo legame ci sentiamo insoddisfatti e spaventati. Mentre gli abitanti dell’isola di Amami non hanno un atteggiamento negativo verso la morte, al contrario pensano che chi muore torni al villaggio natale”.

Così la giovanissima protagonista del film, Kyoko, affronta il decesso della mamma – la scena dei suoi ultimi momenti di vita, all’ombra di un grande albero e circondata da amici e parenti che cantano danze tradizionali per lei, è una delle più belle e strazianti viste in questo festival – accompagnata da una saggezza ancestrale che le viene trasmessa proprio dai suoi genitori. Mentre il coetaneo Kaito, anche lui sedicenne, deve combattere con i fantasmi di un rapporto difficile con sua madre che, separata dal marito che si è trasferito a Tokyo, frequenta un altro uomo e forse ha avuto un incontro occasionale con un forestiero, inaccettabile per l’adolescente. Un drammatico confronto familiare si consuma mentre sull’isola si abbatte un violentissimo tifone tropicale che sembra poter spazzare via tutto. “Si parla tanto di bellezza della natura – riflette Naomi Kawase – ma la bellezza non è mai separata dalla potenza, e la potenza fa paura. In Giappone l’abbiamo vissuto con Fukushima e possiamo vedere che, malgrado i grandi pericoli, le persone continuano a vivere in quei luoghi, così come sull’isola di Amami gli abitanti non sono stati convinti ad andarsene dalla frequenza dei tifoni. Lì gli dèi, che sono personificazioni della natura, sono molto presenti e gli sciamani fanno da intermediari tra le divinità e gli esseri umani”. 

Qualcuno le dice che alla sua collezione di premi manca solo la Palma: “E’ una frase ad effetto usata dai media giapponesi… Credo che Still the Water sia un’opera importante per me, ma la cosa più importante è che arrivi al pubblico in tutto il mondo e Cannes è un ottimo punto di partenza per questo”.

20 Maggio 2014

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