BERLINO – Un’allegoria acida e dark che si apre con una scena satirica e spiazzante. Una folla di persone di ogni età partecipa a una svendita natalizia in un grande magazzino spogliandosi fino a restare in mutande pur di accaparrarsi televisori con uno sconto del 70%. E’ il consumismo che reifica il desiderio e ottunde lo sguardo l’obiettivo della cineasta polacca Malgorzata Szumowska, habituée della Berlinale e Orso d’argento per la regia nel 2015 con Corpi. Ora la 44 enne autrice, tornata in concorso con l’irriverente Un’altra vita Mug, ha vinto il Gran Premio della giuria Orso d’argento. Il film è la storia di Jacek, un operaio edile appassionato di heavy metal che sta lavorando alla costruzione della più alta statua di Cristo Re del mondo (più di quella di Rio de Janeiro), a Świebodzin, al confine tra Polonia e Germania. Un giorno Jacek cade dall’impalcatura e gli si spappola la faccia. Tornato a casa dopo un complicato trapianto con il viso di un altro, vede sgretolarsi tutto il tessuto di rapporti familiari e sociali: non solo la fidanzata Dagmara, ragazza molto disinvolta, non vuole più sposarlo, ma persino sua madre non lo riconosce e pensa che sia posseduto dal demonio tanto da chiamare un esorcista.
Ispirato a un fatto di cronaca, il film, con profusione di gag e barzellette, mette alla berlina la società contemporanea con le sue ipocrisie – in paese tutti sono ferventi cattolici ma nessuno è pronto ad aiutare il ragazzo a pagarsi le cure mediche – e le sue manie – la tv sguazza nel caso con programmi verità – e appunto con lo sfrenato consumismo di cui si diceva all’inizio. L’operazione pionieristica di trapianto è accaduta realmente nel centro medico di Gliwice. “Mi sono basata sulla documentazione di questo intervento – spiega Szumowska – e ho parlato con il paziente Grzegorz Galasiński, la sua storia ha un potente impatto metaforico. La società lo rifiuta perché ha perso la sua identità e non lo riconosce più”.
“Dopo circa vent’anni di capitalismo e democrazia – prosegue Szumowska – siamo tutti in preda alla schiavitù delle merci, me compresa”. Il film, scritto insieme Michal Englert, che è anche direttore della fotografia, segue scelte molto rigorose dal punto di vista dell’immagine. “Mug parla di come vediamo e di come siamo visti – spiega Englert – ecco perché abbiamo enfatizzato l’aspetto soggettivo della percezione, lasciando i bordi del quadro fuori fuoco, così mostriamo i limiti dell’occhio umano e della comprensione, la deformazione che colpisce non solo il protagonista ma il mondo stesso”.
Bersaglio principale della satira del film è la chiesa cattolica: “Ha da noi un grande potere che non è stato messo in discussione come invece in Irlanda. I polacchi reagiscono con un certo nervosismo alle critiche, vedremo come prenderanno il film”, riflette la regista.
Più che il protagonista Mateusz Kosciukiewicz che si sottoponeva ogni giorno a quattro ore di trucco per creare la nuova faccia, portando sul volto una maschera realizzata a Londra che lasciava trapelare solo il suo sguardo, sono da segnalare le due interpreti femminili: la spudorata Dagmara di Małgorzata Gorol e la sorella di Jacek, Agnieszka Podsiadlik, sorta di alter ego e unica a restare in sintonia con lui dopo l’operazione. In sala dal 24 aprile con BIM e Movies Inspired.
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