VENEZIA – Un film costato tre anni di lavoro con molte interruzioni e peripezie, che arriva a quasi due lustri dall’ultimo lungometraggio di fiction (Promettilo! del 2007) e che la Mostra ha selezionato in concorso, On the Milky Road, è il nuovo Kusturica anche se di nuovo non c’è molto perché il cineasta di Sarajevo ripropone il suo stile fatto di musica balcanica indiavolata, bizzarrie varie e animali che rubano la scena agli umani. Unica novità la presenza di Monica Bellucci, entrata a pieno titolo nell’immaginario dell’artista.
Tutto nasce da un suo cortometraggio, Our Life, scritto con la figlia Dunja e visto proprio qui a Venezia che raccontava di un monaco ortodosso che portava dei pesanti pietroni in cima a una collina caricandoseli sulla schiena. “Da lì – racconta Kustu – sono andato a ritroso, dal finale verso inizio, per capire cosa spingeva quell’uomo”. Da lì ha costruito una fiaba sullo sfondo della guerra nella ex Jugoslavia. Il lattaio Kosta (lo stesso Kusturica) attraversa tutti i giorni la linea del fronte in sella a un asinello e proteggendosi dalle pallottole con un ombrello per portare il latte fresco alla sua guarnigione. Di lui è innamorata una bella e disinibita compaesana (Sloboda Micalovic) che vorrebbe impalmarlo ma l’arrivo in paese di una misteriosa italiana, promessa sposa a suo fratello, un soldato guercio, cambia lo scenario. Tra gelosie e orologi a cucù mortali. Il tutto condito con un autentico bestiario animato: galline che saltano davanti allo specchio, oche che fanno il bagno nel sangue di un maiale appena sgozzato, serpenti gentili, un falco pellegrino dai poteri magici e un gregge di pecore su un campo minato.
“Volevo parlare della guerra e del trauma bellico da un punto di vista particolare – ha detto il 62enne cineasta che vinse il Leone d’oro nell’81, quasi a inizio carriera, con Ti ricordi di Dolly Bell? – il periodo più drammatico per molte persone è proprio quello che comincia a guerra finita”. Ma è stata soprattutto la storia d’amore ad ispirarlo, “un Jules et Jim al contrario, adatto a un uomo come me, che ha una personalità molto femminile”. E naturalmente la presenza di Monica Bellucci, nel ruolo di una donna molto bella che ne ha passate di tutti i colori, ma che s’innamora come una bambina. “Volevo Monica a tutti i costi e la storia ruota attorno a lei. Ho dimostrato che non solo è molto bella ma può piangere e cantare, La più bella del mondo, con grande sensualità”. E anche ricucire un orecchio.
Per la diva è stata l’occasione per mettersi alla prova con un ruolo molto fisico: inseguimenti, liti, addirittura scene di volo. Di Emir dice: “È un artista eclettico, regista, musicista, attore, architetto, uomo d’affari”. Per lei On the Milky Road è sì un film di guerra ma poetico con una forte dualità fra fantasia e realtà che è tipica del cinema di Kusturica. “Il mio ruolo è quello di una donna completa, femminile, dolce, materna ma che al momento dell’azione non ha scrupoli. Uno dei ruoli più maturi che abbia mai interpretato. Racconta l’amore, la sessualità e la sensualità al di là di ogni regola, mostrando due persone non più giovani che hanno vissuto tutto nella vita e che, proprio quando non si aspettano più niente, sperimentano qualcosa di magico. La sensualità è un fatto di energia e non di età. Viviamo in un momento storico in cui c’è grande bisogno di credere nell’amore”. Nel film c’è una battuta detta dal suo personaggio, inseguita da un generale dei Caschi Blu finito in carcere per lei e pronto a vendicarsi con tutti i mezzi: “La bellezza mi ha creato solo problemi”. Cosa ne dice personalmente? “E’ vero, la bellezza è un’arma a doppio taglio che produce curiosità ma anche violenza, quindi bisogna saperla gestire, anche se io la vedo più come un regalo che come un maledizione e poi basta saper aspettare un po’ e passa”. Com’è stato girare in Erzegovina, ha sentito ancora gli echi della guerra? “E’ una terra piena di bellezza e sofferenza. Ma io mi sono avvicinata dal punto di vista artistico e umano, non politico”.
Kusturica rivendica lo stile di realismo magico del film e la complessità della costruzione. “Il cinema odierno nella maggior parte dei casi non si prende il tempo sufficiente, noi abbiamo trascorso tre anni e mezzo in un luogo anche impervio, a contatto con la natura, c’è stata anche una terribile alluvione, la peggiore degli ultimi cent’anni. Ci siamo mossi a un ritmo diverso rispetto all’industria. Fare un film di corsa non garantirebbe questi risultati”. E poi racconta com’è stato lavorare con tanti animali. “E’ come con gli amici, ma serve più cibo, se li nutri puoi fare miracoli. Gli animali portano al film l’istintività che condividiamo con loro anche noi umani e per questo mi sono sempre piaciuti, sono una costante nella mia vita e nel mio cinema. Per esempio l’orso che vediamo mangiare dalla mia mano e dalla mia bocca l’ho conosciuto quando era piccolo e gli ho dato spicchi d’arancio. In certi momenti mi sono sentito come un mago al circo”.
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