CANNES – “Vorrei dire che il mio cuore è con gli attori e i membri del team che non sono con noi perché sono stati costretti a rimanere in Iran. Ho pensato a loro per tutto il tempo. Hanno lavorato benissimo, nonostante le difficoltà, e mi hanno combattuto duramente per aiutarmi a fare questo film”. Così esordisce Mohammad Rasoulof nella conferenza stampa di presentazione del suo The Seed of the Sacred Fig, accolto in Concorso al 77° Festival di Cannes con una standing ovation di 15 minuti. Con lui le giovani attrici Mahsa Rostami e Setareh Maleki, che ancora una volta hanno mostrato le foto dei colleghi e loro co-protagonisti del film Missagh Zareh e Soheila Golestani, rimasti in Iran.
L’incontro con la stampa è stata un’occasione per raccontare la vicenda di dissidenza di Rasoulof. Il modo in cui ha potuto realizzare un film clandestinamente e lasciare l’Iran dopo la sua ennesima condanna a cinque anni. “Quando impari a conoscere i servizi segreti, sai come evitarli. Sai, ad esempio, che non puoi usare il tuo cellulare. – racconta il regista – La nostra vita è come quella dei gangster, siamo gangster del cinema. Per scherzare, sul set diciamo sempre che è più facile spacciare cocaina che produrre un film. C’è stato un periodo in cui sono stato male perché avevo il covid, ma non potevo andare in ospedale perché mi avrebbero identificato. Una persona del villaggio mi ha dato la sua carta d’identità per permettermi di farmi ospedalizzare”.
“Mi sono chiesto se sarei stato in grado di continuare il mio lavoro. – risponde a chi gli chiede come è riuscito a scappare dal Paese, dopo la sentenza che lo avrebbe fatto tornare in carcere. Luogo, tra le altre cose, in cui è nata l’idea per The See dog the Sacred Fig. – Non sapevo quanto tempo ci sarebbe stato tra la sentenza e l’appello. Ho sentito degli avvocati che mi hanno detto circa un mese. In quel momento ho capito che avrei avuto il tempo di finire il film. Ovviamente c’erano terribili pressioni, perché temevo di essere arrestato e di passare cinque anni in prigione. Questo film, inoltre, avrebbe probabilmente reso più lunga la condanna. Quando abbiamo finito le riprese ho mandato tutto il materiale al mio amico Andrew, mi sono affidato a lui per la post-produzione. Sapevo che se fossi stato arrestato il film sarebbe stato concluso. Fortunatamente è andato tutto bene”.
“Quando mi è stato detto che avevo solo una settimana prima che la sentenza diventasse effettiva ho dovuto prendere una decisione. – continua Rasoulof -L’esistenza del film era stata resa nota e alcuni membri del team iniziavano ad essere arrestati. Avevo poche ore per scegliere tra la prigione o scappare dall’Iran. Per prendere questa seconda decisione ci ho messo due ore, poi ho detto addio alle mie piante che amo tanto. Non è stata una decisione facile, mi fa male anche solo parlarne ora. La mia finestra affaccia su una montagna e si intravedono le mura della prigione. Ho guardato a lungo quella montagna e quelle mura, ho abbandonato ogni ritrosia e ho lasciato casa. Mi sono affidato a delle persone che aiutano gli iraniani a scappare dal Paese e mi hanno portato in un luogo sicuro che non posso nominare”.
Mohammad Rasoulof è solo uno dei tanti registi dissidenti iraniani, tra cui citiamo il suo ex-compagno di cella Jafar Panahi. Uomini e donne disposti a tutto per perseguire la loro libertà artistica e di espressione. “Sono solo uno dei membri della comunità di registi iraniani, che a volte è visibile e a volte no. – commenta il cineasta vincitore di un Orso d’oro a Berlino nel 2020 – Credo che i cambiamenti continueranno a esserci. Ci sono persone libere che, con grande dignità vogliono fare film a tutti i costi. Il mio solo messaggio per loro è: non abbiate paura delle intimidazioni. Il regima ha paura e vuole che anche noi ne abbiamo. Non hanno altra arma che il terrore e lo si vede dal modo in cui influenzano i media. Dovete credere nella libertà e lottare per una vita dignitosa. I registi indipendenti iraniani stanno cercando un linguaggio internazionale per farsi capire nel resto del mondo. Non è facile quando vieni da una cultura soggetta alla tirannia. Sei in una condizione particolare. Per esempio, questi registi hanno difficoltà a mostrare il viso di una donna, ma un americano non capirebbe perché non può guardare il volto di un’attrice”.
“La Repubblica Islamica è capace di tutto, cerca sempre di costruire un regno del terrore, sia sui media che a livello fisico. – conclude Rasoulof – Io cerco di non pensare a questo mio esilio volontario. Voglio solo raccontare le storie del mio popolo”.
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