VENEZIA – Sono Dakota Fanning e Haifaa Al-Mansour le autrici degli ultimi due Miu Miu Women’s Tales, all’interno delle Giornate degli autori. La ex baby actress hollywoodiana esordisce come regista con il corto Hello Apartment, un racconto semplice e delicato sull’arrivo di una ragazza nel suo nuovo appartamento.
“Come tutti anch’io ho avuto una prima volta in un appartamento tutto mio, senza la famiglia – dice – Volevo raccontare questa esperienza e anche il rapporto tra i ricordi e lo spazio che crea la tua memoria. Cosa accade quando lasci questo spazio e come ci segna quello che ci lasciamo dietro. E’ stata una sfida entusiasmante essere regista per la prima volta. Ho avuto da Prada il massimo della libertà possibile per raccontare tutto quello che volevo e mi hanno dato tantissimo supporto. Non poteva andare meglio, come prima volta. Come attrice ero spaventata, non mi sentivo pronta, ma mi sono ispirata ai grandi registi con cui ho lavorato, ed è andato tutto bene. Ho avuto modo di confrontarmi con una serie di aspetti che non avevo mai affrontato: la post produzione, il montaggio, il sonoro, e questo influenzerà la mia recitazione in futuro. Ora so che anche quando un attore dà il suo meglio, tutto potrebbe cambiare in fase di montaggio, può diventare una storia completamente diversa. Come attore ti senti spesso fuori controllo, ora è diverso. Naturalmente tornerei a dirigere molto volentieri, magari anche un film più lungo, ma ancora non ho idee. Ci devo pensare. Non sarebbe male lavorare con Luca Guadagnino”.
Haifaa Al-Mansour porta invece il suo The Wedding Singer’s Daughter, ambientato a Riad, in Arabia Saudita, negli anni ’80, che mostra l’ingenuità di una ragazza in una società con forti preconcetti sulle donne. “In Medio Oriente essere un artista non è qualcosa di molto rispettato – commenta – Devi essere un medico o un avvocato per essere rispettato, quindi volevo lavorare su qualcosa che rendesse omaggio a un’artista, come poteva essere mia madre, che aveva una voce bellissima. Se sei un’artista, rischi di andare all’Inferno, questo ti dicono. Volevo che ci fosse il punto di vista puro di una bambina per rendere omaggio all’arte stessa. Anche fare film è difficile: i soldi vengono quasi sempre dall’Europa ed era molto difficile, il paese è chiaramente molto chiuso e anche girare una scena per strada può risultare molto difficoltoso, dovevo nascondermi in un camioncino perché era tutto vietato. Ora le cose sono un po’ cambiate, almeno da un punto di vista logistico, l’Arabia Saudita ha dei fondi e questo rende tutto più semplice. Ci vuole comunque molto lavoro di costruzione, non abbiamo ancora infrastrutture o scuole di cinema ma siamo sulla strada giusta. Ad ogni modo, anche se non si vede, questo film l’ho girato a Los Angeles, in una ‘tasca’ di cultura mediorientale che ho trovato fantastica”.
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