TORINO – Secondo qualcuno è lui la scoperta di questo 30° TFF, Miguel Gomes, il regista portoghese quarantenne, che proprio qui portò nel ’99 il suo primo cortometraggio Entretanto, che in pochi tratti e sulle note di una hit famosa come Que serà, serà cantata da Doris Day raccontava l’indeterminatezza sessuale dell’adolescenza. Con tre lungometraggi al suo attivo è già tempo di una retrospettiva culminata con la proiezione di Tabù, già visto e premiato alla Berlinale (Fipresci e Premio Alfred Bauer per l’innovazione). Un film in bianco e nero, sospeso tra il presente mesto e il passato coloniale. La protagonista, Aurora, è infatti un’ottantenne sola e depressa ma che ha vissuto una lacerante passione cinquant’anni prima. “Il cinema è vecchio come Aurora – dice Gomes – oggi è più difficile credere nella sua magia e ci rimane la saudade, la nostalgia di quello che è stato”.
Ecco dunque spiegata la scelta di un film in parte senza dialoghi, con storie raccontate da un narratore e soprattutto girato in pellicola, “che nel giro di pochi anni, forse cinque, è diventata preistoria con l’avvento del digitale”.
Alcuni l’hanno apparentato a The Artist, ma Gomes non accetta il paragone a cuor leggero: “Non mi convince l’idea di un film che cerca di riprodurre l’estetica di un cinema che non esiste più. Credo che sia sempre necessario stabilire connessioni con l’oggi, provocare nel pubblico il coinvolgimento senza limitarsi a copiare meccanicamente”.
Tabù uscirà l’anno prossimo con la Archibald, intanto scopriamo che in Portogallo è in discussione nuova legge cinema che Gomes e il suo produttore sperano possan mantenere la tradizione di libertà creativa tipica del cinema lusitano, “fuori dalla tirannia del pubblico”.
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