In concorso a Venezia 61 con Ovunque sei, Michele Placido si prepara a un’ulteriore e impegnativa prova d’autore, la trasposizione per il grande schermo di Romanzo criminale, l’avvincente libro del magistrato Giancarlo De Cataldo (Einaudi) incentrato sulle gesta della cosiddetta “banda della Magliana” che terrorizzò Roma a cavallo degli anni ’70 e ’80. Vi si racconta, con i nomi dei veri protagonisti cambiati e i fatti reali liberamente elaborati, l’ascesa e caduta di tre ragazzi di periferia con il folle sogno di prendere il comando di tutta la malavita organizzata e di impadronirsi di Roma con ferocia sanguinaria. Usata e strumentalizzata come manovalanza omicida dall’estremismo neofascista e dagli artefici degli ambigui intrighi tra mafia, affari e politica negli anni della strategia della tensione, la banda rimarrà vittima della propria megalomania. Prodotto dalla Cattleya e dalla Warner bros e sceneggiato da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il nuovo progetto, che in un primo tempo avrebbe dovuto essere diretto da Marco Tullio Giordana, fa gola da tempo alla “meglio gioventù” dei nostri interpreti e Placido ha già selezionato alcuni talenti: il suo protagonista-feticcio Stefano Accorsi (già interprete di Ovunque sei e di Un viaggio chiamato amore) nella parte del caparbio e vulnerabile commissario Scialoja; Kim Rossi Stuart in quella di “Il freddo”, capobanda senza scrupoli e cedimenti; Anna Mouglalis, la top model francese protagonista di Sotto falso nome, in quella di Patrizia, splendida ed ammaliatrice prostituta-dark lady; Claudio Santamaria nei panni dell’elegantone pseudosofisticato “Dandi”; Pierfrancesco Favino in quelli del temutissimo Libanese; Toni Bertorelli in quelli di una sorta di “Grande Vecchio” legato ai servizi deviati e alla massoneria golpista. In una pausa dei provini che sta ultimando a Cinecittà, il regista ci ha parlato dell’ambizioso affresco. “Il romanzo di De Cataldo affronta in oltre 600 pagine un arco narrativo di circa 20 anni radiografando un’epoca in chiave immediata e popolare. Il nostro film sintetizzerà in due ore un materiale vastissimo e potrebbe rappresentare una sorta di ideale seguito di Accattone in cui Pasolini raccontava il disagio e l’emarginazione della Roma dei primi anni ’60: è come se quegli stessi personaggi avessero alzato il tiro trasformandosi in piccoli criminali senza scrupoli e diventando poi per il vuoto esistenziale in cui si muovevano facili strumenti del Potere che li ha utilizzati per attentare alla stabilità della nostra democrazia: convinta di essere manovratrice la banda venne in realtà manovrata dai servizi deviati…”.
Si tratterà di una gangster story, un film di genere in piena regola?
Si, ma non solo di quello, spero. La storia avrà un prologo nel 1966 che mostrerà i protagonisti adolescenti: io allora avevo 20 anni e già facevo il poliziotto a Roma. Preoccupato com’ero di costruire qualcosa per me, non avevo capito subito quella città che poi mi ha adottato. Mi fa piacere rivisitare le mie esperienze personali: ho amato molto il mondo di Pasolini, le borgate, ma ricordo bene pure le stagioni di dolore con il rapimento Moro, la strage di Bologna e il terrore che invase la città quando c’era l’angoscia delle rapine della mala vincente…
Secondo lei il nostro cinema recente è stato piuttosto distratto verso la politica?
Certamente. La banda della Magliana ha una storia che attraversa trasversalmente la società dell’epoca: è stato inevitabile perciò interrogarsi sulle responsabilità dei poteri palesi e occulti dell’epoca. I miei sceneggiatori, Rulli e Petraglia, hanno una storia di grande impegno civile e sociale a cui mi sento vicino, non solo per essere stato l’autore di Un eroe borghese, il film sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata ucciso da un sicario di Sindona 25 anni fa…
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