Michela Andreozzi, bigodini e pistole

Sul set di Brave ragazze, Andreozzi: “La mia nuova commedia: una metafora per mostrare che le donne possono fare cose da uomini, rapine comprese”


GAETA – Quattro amiche, in un momento di difficoltà, scelgono di compiere insieme un discutibile gesto di ribellione: si travestono da uomini e compiono una serie di rapine. E’ una storia realmente accaduta, in Francia negli anni ’80, quella che Michela Andreozzi sceglie di portare sullo schermo per la sua opera seconda Brave ragazze, prodotta da Paco Cinematografica e distribuita in sala da Vision nei primi mesi del 2019. Il contesto diventa italiano e il set dove incontriamo la regista, insieme al cast composto da Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi e Silvia d’Amico più Luca Argentero e Max Vado, è a Gaeta. Ultima settimana di riprese, tempo di tirare le fila del film: “Tutto nasce – racconta Andreozzi – da un articolo di giornale su questa banda criminale al femminile, ribattezzate le amazzoni della Vaucluse”. E anche dalla voglia di fare un cinema che non sia solo rivolto alle donne, ma ne sfrutti il carisma per conquistare il pubblico, con l’ironia di una action comedy “bigodini e pistole”.

Che tipo di storia mirava a raccontare?

L’idea era portare sullo schermo un quartetto di amiche disgraziate che nel giorno più buio delle loro vite, non avendo nessuno a cui chiedere supporto, perché per varie ragioni ognuna di loro si ritrova “da sola”, decidono di travestirsi da uomini e rapinare la banca del paese, dove tra l’altro il direttore è un poco di buono. Un’avventura che ha tutti i presupposti per rivelarsi un fiasco, invece va a finire bene, riescono a rapinare la banca.

Cosa la intrigava maggiormente della vicenda? 

Il fatto che nessuno avesse il minimo sospetto che si trattasse di donne, hanno sempre e solo cercato rapinatori maschi. Era la metafora che volevo: a volte per fare imprese impegnative noi donne dobbiamo travestirci da uomini perché la società non ci crede capaci di compiti maschili.

Il suo film è ambientato negli anni ’80: le sembrano cambiati i presupposti per le donne da allora?

In verità non molto: siamo sempre pagate meno degli uomini, chi sceglie o si ritrova da sola fatica il doppio, chi sceglie di diventare mamma deve dividersi tra mille fatiche e peripezie, siamo sempre più multitasking e dobbiamo ancora affrontare un contesto sociale pieno di pregiudizi.

Che ruolo hanno gli uomini nel suo film, con quattro donne protagoniste?

Un maschile accogliente, non respingente. Max Tortora è il prete nella chiesa in cui loro quattro si incontrano, Luca Argentero il commissario che indaga su di loro e che ha me come braccio destro, nei panni dell’agente Franca. L’unico vero cattivo è Max Vado, il marito violento del personaggio interpretato da Serena Rossi: è il male puro, quello che hai in casa e da cui è dura scappare.

Ci indica i riferimenti cinematografici del film?

Ho una grandissima passione per Soderbergh, ma volevo il tono da comedy più spiritosa alla Italian Job per raccontare queste quattro adorabili sfigate. Ognuna di loro è, per un motivo, una perdente. Non volevo raccontare una società ostile alle donne, ma ostile di suo, sottolineando come se sei donna, e sei sola, sia tutto più difficile.

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30 Ottobre 2018

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