Lorenzo Mattotti, stasera, 26 agosto, al Bif&st di Bari riceve il Premio “Maria Pia Fusco” per l’eccellenza tecnico-artistica de La famosa invasione degli orsi in Sicilia, film animato che ha debuttato a Un Certain Regard di Cannes lo scorso anno.
L’estetica del suo film ha il pregio di essere di sublime eleganza, incanta il pubblico, senza limiti d’età. Quali sono, secondo lei, i dettagli visivi capaci di questo incanto; e quali sono state le suggestioni, le ispirazioni che l’hanno condotta alla creazione di questa visione artistica?
Prima di tutto, son partito dai disegni di Dino Buzzati, che era anche illustratore e pittore. Questo libro era illustrato da lui: mi sono basato anche su piccoli dettagli, piccole idee, i disegnini che metteva, cercando di tirar fuori il più possibile idee e suggestioni dai suoi disegni. Io ho sempre amato Buzzati, e lui ha sempre fatto molto parte della mia cultura ‘di prima’ (del film, ndr). E poi, non mi sono posto il problema di imporre il mio stile, non volevo che i disegnatori ‘facessero Mattotti’. Volevo che il film avesse il proprio stile, che anche i miei collaboratori avessero la possibilità di aggiungere le loro capacità e la loro creatività. Per creare il mondo degli orsi, chiaramente, abbiamo dovuto creare un universo intero: ho cercato di sfruttare al massimo la profondità dello schermo cinematografico, il lavoro del colore, che mi è proprio dall’esperienza di trent’anni di mestiere, e lavorare molto con le linee portanti. Volevo una sintesi stilistica, non volevo piccoli dettagli, piccole robette, non riempire le immagini di tantissimi oggetti o cose del genere. Non volevo una cacofonia visuale. Volevo che ci fosse, in ogni immagine, una struttura grafica molto forte, una composizione molto forte, data dalle linee di fuga, dalle prospettive, dalle forme, un’organizzazione grafica da illustrazione. Siamo stati molto attenti che ogni immagine avesse il proprio equilibrio, e poi abbiamo lavorato molto con le ombre: ogni personaggio aveva le proprie, quelle portate sulle sue pareti, è stato fatto un lavoro di luci soprattutto sui corpi. Poi, una cosa molto importante, su cui io ho insistito, è stato di utilizzare sempre estetiche mediterranee, italiane, l’architettura che fosse delle nostre città, con i nostri palazzi e la nostra cultura, non il Gotico americano o inglese, non quello ‘alla Tim Burton’. Volevo staccarmi completamente da quel tipo di estetica.
Il film, appunto, è tratto da un’opera di Dino Buzzati: è sempre stato questo il soggetto da lei immaginato per il suo primo lungometraggio? E, pensa che l’animazione possa trarre vantaggio dall’adattare narrazioni preesistenti di tale affezione da parte del pubblico, piuttosto che creare storie originali?
Nella testa ho sempre avuto questa storia, o Il segreto del bosco vecchio: mi ricordo che, quando lo lessi per la prima volta, mi sembrò molto adatto per una trasposizione in animazione. Però io ho sempre trovato preferibile partire da dei classici, o da romanzi già esistenti, casomai che facciano parte della nostra tradizione italiana, perché credo sia molto importante per il pubblico giovane, per i bambini, fargli conoscere le grandi storie, adattandole chiaramente con un linguaggio spettacolare come quello del cinema d’animazione, cosa che hanno sempre fatto gli americani, i giapponesi. Solo noi, per un periodo, sembrava bestemmiassimo a portare in animazione i classici della Letteratura, abbiamo sempre avuto un pregiudizio nel farlo, poi, per fortuna, questa cosa è cambiata negli Anni ’80, anche con La freccia azzurra di Enzo D’Alò, da Rodari. Mi sembra che la tendenza di adesso sia quella di inventarsi storie molto contemporanee, basate sulle maniere di fare attuali dei ragazzini, dimenticando un po’ i grandi classici, le grandi storie tradizionali, che mi sembra che manchino nel panorama europeo di questo momento. C’è sempre la ricerca dell’attualità, dell’attualità, dell’attualità… ma bisogna pensare al pubblico dei bambini: per loro, se fatto bene, può essere attuale anche Biancaneve o Ulisse, loro non hanno il senso dell’attualità. E loro hanno bisogno di grandi storie, che li faccia riflettere, li arricchisca. L’importante è che abbiano la possibilità di immaginari differenti, altrimenti il rischio è che abbiano un immaginario appiattito, con stereotipi e archetipi ormai diffusi dappertutto. L’importante, comunque, è cercare di fare entrambe le cose.
Uno dei discorsi aperti nell’animazione italiana è quello sul continuo equivoco che sia – quasi sempre – identificato ‘solo’ come un linguaggio per piccoli: scriverebbe o adatterebbe – un prossimo film animato – specificatamente per adulti?
Era uscita (a fine Anni ’90, ndr) una mia storia a fumetti, Stigmate, molto drammatica, solo per adulti, e c’era stata l’idea di trasporla in film d’animazione, poi forse i tempi erano troppo prematuri. In Francia, adesso, la maggior parte della produzione è rivolta quasi più al pubblico adulto, c’è quasi la tendenza inversa. Nel mio cassetto ho anche un Dottor Jakyll e Mister Hyde, però non lo farò mai probabilmente. Non ho l’idea di fare cinema d’animazione solo per bambini, però mi sembra molto importante fare grandi storie per il pubblico giovane, questo sì!
L’animazione italiana ha una grande Storia, ma ancora è un settore che – di certo più della Francia – soffre significative fatiche di realizzazione. È da oltre un anno, da Cannes 2019, che il suo film gira il mondo: ha la sensazione che il riscontro internazionale per la sua opera possa essere una sorta di volano per tutto il comparto nazionale?
Non ne ho idea, è un po’ una situazione strana, perché il film è stato fatto tutto in Francia, con una produzione – Prima Linea – che ha un nome italiano, da un autore – Dino Buzzati, che è italiano, e da un regista italiano. Per assurdo, i francesi ‘ci hanno rimesso’ in questo senso, ‘ci sta guadagnando’ più il cinema italiano: non so se farà da volano, perché il discorso è rispetto alle scelte produttive, economiche, che portano a decidere di dare finanziamenti a un polo dell’animazione, e questa scelta in Francia è stata fatta più di vent’anni fa e sta dando enormi risultati. Sono scelte grosse, che debbono essere fatte sin dall’origine: poi, ci sono ‘strane presenze’ come quelle da Napoli o Enzo D’Alò, che riesce a fare film, ma con finanziamenti europei, o facendolo in Lussemburgo o Belgio, infatti in Italia ci sono più produzioni di serie Tv, che di lungometraggi d’animazione.
La famosa invasione… – si diceva – continua meritatamente a girare il mondo e ricevere riconoscimenti, come quello dal Bif&st: quali sono le sue personali emozioni e soddisfazioni in queste circostanze, soprattutto pensando al complesso processo di creazione e produzione di un film così sofisticato?
Le mie grandi soddisfazioni, per esempio, sono state per la proiezione nella piazza di Locarno, l’anno scorso, che era piena di famiglie: quando vedo che il pubblico dei bambini, delle classi, esce dal film entusiasta, mi fa capire che abbiamo fatto un buon lavoro, che il nostro impegno è andato a segno. Le mie grandi emozioni sono nel vedere i bambini entusiasti, capire che il mio lavoro non è stato buttato via. Poi, i premi è chiaro siano molto importanti, come quello da Alice nella Città, conferito tra l’altro da una giuria di ragazzi: mi fa molto piacere quando le giurie che premiano come Miglior Film sono giovani, vuol dire che il lavoro è stato fatto bene. E anche il Premio del Bif&st per la tecnica e la creatività è molto importante, perché significa riconoscere che l’animazione tradizionale sia eccellente. Certo, dà soddisfazione un premio, ma la più grande rimane che le famiglie vadano a vederlo e ne escano entusiaste.
Dal pubblico di manifestazioni come il Festival barese, sì un pubblico cinefilo ma anche pop nel senso più nobile del termine, quali messaggi, stimoli, riflessioni raccoglie sul film e sull’animazione?
Sinceramente non mi aspettavo piacesse hai 18-20enni, che spesso hanno dei pregiudizi molto forti, dei gusti estremamente precisi, e l’apertura di accettare un film fatto più per i bambini, apprezzandone l’aspetto grafico, o anche di storia, proprio non me l’aspettavo, quindi mi fa un estremo piacere. Credo, in generale, ci sia un pregiudizio per andare a vedere il film, ed è quello che non sia americano o giapponese, ma italiano: per scegliere il film italiano d’animazione ci si pensa quattro o cinque volte, forse per la paura che sia troppo intellettuale, o sia triste, per cui questa è una delle grosse difficoltà. Però poi, quando escono dalla visione, ci sono delle madri che mi dicono essere stato fantastico, spunto di discussione, cosa che non gli capita mai con il cinema americano, un cinema luna park che fa uscire rintronati dai ritmi di narrazione, dall’azione, della musiche, come si scende da una giostra. Questa grossa differenza mi sembra molto importante
Roberto Benigni premiato al Bif&st, a cui ha partecipato a titolo gratuito, s’è presentato al pubblico parlando in dialetto, spaziando poi da Pinocchio alla Divina Commedia e Coppola, fino al desiderio di fare un film con la moglie, Nicoletta Braschi
"C'è un verdetto straordinariamente positivo: ci considerano un modello per le norme di sicurezza", lo afferma Felice Laudadio, direttore del Bif&st, riferendo l'esito dei controlli fatti dal Mibact sulle misure anti-Covid
Le misure di sicurezza non hanno fermato il pubblico, che ha seguito numeroso la mostra su Mario Monicelli, cui è dedicata questa edizione del Bif&st, fino al 30 agosto. Proiettato nella serata di inaugurazione anche il corto Il silenzio di Alberto con un inedito Sordi, senza parole
La manifestazione a Bari, 22-30 agosto: un grande omaggio a Monicelli, come quello a Morricone. 80 eventi, 150 ospiti, tra cui Benigni, Bellocchio e Mattotti; una progettualità nel nome della sicurezza sanitaria, non senza una considerevole ricchezza di contenuto: per Panorama Internazionale, Giuria con 5 personalità baresi