Negli anni Cinquanta, l’attuazione del “Piano Marshall” consente all’Italia di realizzare una sorta di “miracolo economico”, che si ripercuote sia sul tenore di vita dei suoi abitanti sia sulla fioritura della produzione in tutti i settori, in particolare quello cinematografico.
Gli studios hollywoodiani invadono Cinecittà, esportando ovviamente i propri film, ma promuovendo anche coproduzioni italo-americane. È in questo contesto fiorente (nel 1955 l’industria cinematografica italiana era al secondo posto nel mondo per numero di spettatori) che si affermano due dei più famosi produttori della sua storia, entrambi formati dal potente magnate Riccardo Gualino: Dino de Laurentiis e Carlo Ponti.
Ponti, in particolare, aveva sposato Sophia Loren nel 1957 (matrimonio poi annullato per evitare accuse di bigamia) e aveva lavorato per farne una star internazionale. Inoltre, a metà degli anni Cinquanta l’attrice aveva dimostrato una certa intesa con un altro astro nascente del cinema italiano, il “nostro” affascinante e straordinario Marcello Mastroianni, e Ponti si impegnò a riunire le due star nel 1963 per Ieri, oggi e domani, un film a episodi coronato da un successo colossale, tra cui l’Oscar come miglior film straniero.
Ponti fu incoraggiato a continuare il loro fruttuoso sodalizio, sotto lo stesso regista, il maestro Vittorio De Sica. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, De Sica non era più soltanto il protagonista assoluto del neorealismo che era stato con Ladri di biciclette.
La trilogia di Pane, amore e…, in particolare, lo fece trionfare anche come attore di commedie popolari, ed è in questo ambito che collaborò per la prima volta come interprete accanto alla Loren e Mastroianni, guidati dalla regia solida di Alessandro Blasetti.
De Sica per la sua seconda opera con il duo Loren-Mastroianni si affida nuovamente a quel tesoro di creatività che è l’opera di Eduardo De Filippo dopo averlo fatto per Ieri, Oggi e Domani , in particolare per il soggetto e la sceneggiatura di uno degli episodi: Adelina.
Per Matrimonio all’Italiana, di cui ricorre quest’anno il 60° anniversario, De Sica adatta uno dei più celebri testi di De Filippo: Filumena Marturano, a sua volta già tradotto al cinema proprio dallo stesso drammaturgo napoletano che, nel 1951, ne interpreta anche il ruolo principale.
Grande fedeltà alla sua opera, ma scarso successo di pubblico.
Matrimonio all’italiana di contro, discostandosi in maniera più evidente rispetto al testo di partenza, con una messa in scena meno cupa, più ariosa, dal tono quasi protofemminista (qui il personaggio di Filomena è esaltato ai livelli di un’eroina popolana che combatte con coraggio per i propri figli e per il suo amore) diventa un grandissimo successo commerciale che compete con blockbuster del periodo come Agente 007 – Missione Goldfinger.
E non è solo il pubblico a premiare il film: ottiene due candidature all’Oscar 1966 per il miglior film straniero e per l’interpretazione della Loren, vince il Golden Globe come film internazionale e 4 David di Donatello nelle categorie principali: film, regia, attore e attrice.
De Sica riesce a mantenere l’equilibrio fra dramma e commedia: da una parte gioca con il passato di Filumena e Domenico, grazie ai vari flashback in cui si racconta la loro lunga relazione, dall’altra è in grado di far emergere lo squallore del ruolo maschile, spesso senza cuore, spinto dalla passione per Filumena, approfittando dei suoi sogni e dei suoi sentimenti.
Se è difficile parlare di una specifica “età dell’oro” per un genere che è innegabilmente una costante culturale profondamente radicata nel nostro Paese, i primi anni ’60 segnano l’apice della “commedia all’italiana”: miracoloso connubio di energia comica, satira sociale e melodramma. E Matrimonio all’italiana è un film emblematico in questo senso. Anche nel modo in cui rimodella gli archetipi regionali facilmente identificabili in sfondi narrativi credibili.
Come Divorzio all’italiana di Pietro Germi, ad esempio, che tre anni prima si era ancorato all’immagine di una Sicilia violenta e passionale, Matrimonio all’italiana afferma con decisione la sua identità partenopea, tanto attraverso l’arredamento (panni stesi alle finestre e curiosi sulle terrazze, traffico caotico, Vesuvio all’orizzonte…) quanto attraverso il dialetto utilizzato dagli attori e di Sophia Loren in particolare che calca il suo accento.
Marcello Mastroianni, che non ha mai mancato di elogiare la sua compagna e amica che in questo film davvero risplende e buca lo schermo, continua il gioco iniziato un decennio prima intorno alla sua immagine di latin lover, sempre in bilico tra consolidamento e decostruzione del mito.
Marcello ha 40 anni ed è all’apice della sua carriera e al massimo del fulgore anche fisico. Riesce grazie al suo potente carisma a smussare gli angoli di un personaggio che di fondo è piuttosto antipatico, spesso addirittura odioso come donnaiolo disattento alle aspirazioni della sua fedele amante. Questa è un’altra forma della sua grandezza di attore: la capacità di regolare la temperatura emotiva di un personaggio facendo sì che riscaldi le platee nonostante il cuore freddo di cui è dotato in sceneggiatura.
In questo cult della commedia italiana, Mastroianni riesce benissimo anche e soprattutto nel registro comico che si rivela molto convincente e viene esaltato dal suo caratteristico tempismo (sia verbale che gestuale). Durante la sequenza finale, in cui la famiglia finalmente amalgamata posa per l’obiettivo di un fotografo, i tre sguardi e gli scatti successivi che lancia alla sua potenziale prole sono assolutamente deliziosi.
La vignetta riproduce un ritratto fotografico giovanile del celebre attore, di cui si festeggia il centenario
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