Martina Gatti, uno dei volti della serie Skam-Italia nei panni di Emma Covitti, dopo aver lavorato con Abel Ferrara in Padre Pio, ed esser stata tra i giovani interpreti della serie di Sky Un’estate fa, ora è la protagonista femminile della commedia Il migliore dei mondi di e con Maccio Capatonda, disponibile su Prime Video. Nel film l’attrice romana, classe 1996, è Viola, una ragazza scanzonata che vive la vita in modo analogico, senza adattarsi alle nuove tecnologie. E anche Martina in un mondo digitale alienato dai social, troppo spesso artefatto. preferisce non perdere il contatto con la realtà.
Martina, chi è Viola?
Una ragazza istintiva, che si muove in libertà, senza troppa consapevolezza. Non siamo poi così uguali io e lei. Mi sento più vicina a Ennio, che è un maniaco del controllo. Viola è l’opposto. Anche se provo anche un po’ di invidia per lei per questo suo modo di vivere la vita. In fatto di tecnologia, siamo invece abbastanza simili.
Il migliore dei mondi è un film che non fa solo ridere. Apre anche a una riflessione sul mondo di oggi e su quanto dipendiamo dalla tecnologia.
È un film che parla dell’alienazione generata dalla tecnologia e del controllo. Dovremmo riflettere sul modo terribile in cui stiamo usando questi mezzi tecnologici, perdendo il contatto con la realtà.
Tu quanto usi i social?
Quanto serve. Ho un profilo privato su Instagram condiviso con una delle mie migliori amiche. È una specie di diario personale, un modo per stare insieme anche quando siamo distanti, postando le foto dei nostri momenti. Sul profilo pubblico metto foto, più o meno carine, cercando però di essere il più onesta possibile e non prendendomi troppo sul serio.
Fai parte di una generazione che, anche per il mestiere che fa, usa i social per farsi conoscere.
Lo so, ma non mi so vendere. Trovo quel mondo finto, artefatto. Mentre vorrei dare un’idea più vera di me. Ho sentito colleghi ai quali ai provini è stato chiesto quanti follower avessero. A me non è ancora capitato, ma non credo che sia questo il metro per giudicare un attore. Dovresti essere scelto sulla base di una preparazione.
Ad oggi sei soddisfatta del percorso che hai fatto?
Mi ritengo fortunata. Ho fatto progetti che mi sono piaciuti. Dalle serie Skam e Un’estate fa a Padre Pio con Ferrara. Ora guardo avanti, provando a migliorare e inseguire i miei sogni.
E quali sono?
Mi piacerebbe lavorare un giorno con Matteo Garrone o Alice Rohrwacher. Sogno un film diretto da Julia Ducournau, che trovo incredibile. Però devo anche prendere atto che questo è un lavoro difficile e discontinuo. In caso non dovesse andare, attuo il piano b: aprire un bar.
Quindi da bambina non desideravi fare l’attrice?
Assolutamente non pensavo avrei fatto questo lavoro. Finito il liceo mi sono sentita un po’ persa. Ho iniziato a studiare lettere classiche e ho lasciato. Mi sono trasferita a Perugia e mi sono laureata in filosofia e scienze psicologiche. Per caso ho iniziato a fare i primi provini. Ma sono sicura che non avrei fatto neanche la psicologa nella vita.
Questi studi ti hanno aiutato anche nella costruzione dei personaggi?
Non li ho mai sfruttati così. La costruzione di un personaggio si fa partendo più da te stessa, o almeno io faccio così. Invento la psicologia della ragazza che interpreto. Se mi capitasse, però, di fare un personaggio con una patologia diagnosticatile più chiara, potrei attingere ai miei studi.
Che esperienza è stata lavorare con un regista come Ferrara?
Direi incredibile. È un autore che fa tutto molto veloce. Quando ho fatto il provino per il personaggio di Anna, una ragazza che si avvicina al socialismo, mettendo a rischio la sua vita, quindici giorni dopo ero già sul set. Ferrara è un regista molto esigente, anche duro. Un uomo che va a fondo alle cose che fa, che non si ferma in superficie e che ha avuto il coraggio di ritrarre Padre Pio con tutte le sue debolezze.
Sei anche tra gli interpreti di Troppo azzurro, opera prima di Filippo Barbagallo che è stata presentata all’ultima Festa del cinema di Roma.
Il protagonista è un ragazzo insicuro, anche disagiato con le ragazze. Io sono Lara, di cui lui è sempre stato innamorato. Ma la conosce solo perché la vede lavorare al bar, la considera come un quadro. Credo che Filippo sia riuscito a raccontare il disagio di una generazione come la mia in modo molto leggero. È un film che ti fa uscire dal cinema sereno.
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