Sigarette consumate sulle gradinate di campetti di periferia per trascorrere il tempo all’estrema ricerca di un riscatto, questa è la vita di Bartolomeo, interpretato da Massimo Ghini, un procuratore di calcio fallito nella professione e nella vita personale. E poi una telefonata, quella che può cambiare le sorti: in Uruguay c’è Pablito, una sorta di Messi in erba, che nel panorama italiano potrebbe essere l’asso – pigliatutto e nella manica – del procuratore, con l’aggiunta del sogno, che potrebbe divenire realtà, per un piccolo campione di un estremo del mondo: La volta buona, titolo del film, sembra essere l’opportunità di entrambi.
Vincenzo Marra (Tornando a casa, L’ora di punta, La prima luce), sceneggiatore e regista, accompagna il suo film – in anteprima nel Panorama Italia di Alice nella Città e ora in sala dal 2 luglio – concentrandosi su un impulso umano: “Dall’osservazione di questi ultimi anni del nostro tempo, ho notato come il sentimento della frustrazione sia diventato mostruoso; un’emozione che tutti noi abbiamo: difficile mantenere un equilibrio tra quello che avremmo voluto essere e quello che siamo; penso che oggi si tratti dell’incapacità della sopportabilità e quindi ho costruito Bartolomeo partendo da questo: lui è uno che a 60 anni deve ancora avere la sua volta buona, secondo lui. È un tema enorme, a livello sociale: questo personaggio mi ha dato l’opportunità di parlarne. Lo spunto di questo racconto sta nell’aver potuto raccontare cose profonde riuscendo ad avere continuità con le prassi del mio cinema, sempre costruito su livelli che man mano scendono in profondità: la possibilità di usare l’allegoria e la metafora. Il film nasce anche da molta documentazione: ho incontrato procuratori di calcio e talenti in erba, da lì ho tratto sequenze di racconto”.
Un film, questo, nato anche sull’onda di un’esperienza molto personale, quella del rapporto di Vincenzo Marra con Mario Monicelli, che il regista tiene a sottolineare non essere fonte d’ispirazione o riferimento cinematografico incluso nel film, piuttosto: “Un tentativo di provare a fare un film po’ differente, nato anche da un mio rapporto con lui: sapevo mi citasse spesso, anche se la cosa mi sembrava strana perché guardando i miei film non trovavo grandi affinità; un giorno, parlandogli, chiesi ‘perché…?’ e lui mi disse che aveva visto due miei film, e lì c’era una graffiante ironia; mi disse che secondo lui avevo un altro ‘braccio’ nascosto, che avrei usato nei film di finzione; quando lui morì sentii il bisogno di raccontare in questa maniera e subito ho scritto di getto, in 15 giorni, la prima stesura de La volta buona, che però all’inizio ho tenuto nel cassetto, un po’ per mia ritrosia”, confida Marra.
Vicino ad un Massimo Ghini quasi inedito, capace di tratti drammatici, trasandati, di assumere in sé screziature di pietà, fallimento, ma anche di rinascita e riscatto, recitano l’esordiente piccolo calciatore argentino Ramiro Garcia, Pablito appunto, e con lui Max Tortora, Massimo Wertmuller, Francesco Montanari e Antonio Geraci. “Il Sud America da cui arriva Pablito poteva essere un qualsiasi ‘altro mondo’ e un’ispirazione sono stati gli western: il viaggio, la solitudine, tutto per raggiungere l’obiettivo della ‘pepita d’oro’ e così mi sono chiesto a cosa questa corrispondesse nel tempo contemporaneo, e nel calcio ho trovato la risposta, che mi offriva anche un doppio livello, quello connesso al discorso sul razzismo, perché se uno gioca con talento in campo allora si ribaltano le osservazioni sul tema. Straordinario è stato l’incontro con Ramiro, come ‘apparso’, grazie ad un amico che ha una società di giovani calciatori: è stato incredibile perché mi ha raccontato la sua vita, molto simile a quella che mi ero immaginata; a quel punto i dubbi sulla costruzione sono completamente sfumati”, dice il regista, a cui fa eco Massimo Ghini, che prima di tutto anche lui tiene a parlare di Ramiro Garcia, un ragazzino che nella realtà, con il fratello, è stato portato in Italia proprio dall’Argentina, da Rosario, città natale del campione Leo Messi, e proprio per giocare a calcio: “Con lui ho fatti un piccolo lavoro di preparazione, fin dall’inizio ho chiesto a Marra di farmelo incontrare: è una cosa che temono i registi, perché hanno paura che li si influenzi, cosa che un po’ ho fatto, ma ho cercato fin dall’inizio di trasmettergli il fidarsi di me, il nostro incontro è stato bellissimo”, nonostante sia stato messo accanto ad un personaggio complesso, che l’attore ha molto amato: “Marra è un pasdaran della realtà: ci siamo equilibrati discutendo, perché penso che la forza del film sia nella sceneggiatura, mi sono tornati in mente copioni di Luciano Vincenzoni e film di Dino Risi, sentivo finalmente quest’aria e quello che mi è piaciuto è che Bartolomeo non fosse un buonista, mi appassionava l’idea dell’essere veri, e il suo cinismo, con la pietas che esce fuori alla fine, quando la problematica gli apre il cuore, per questa storia di due disgraziati che s’incontrano nel calcio, ormai qualcosa di molto violento che riporta al mondo dei gladiatori, e Bartolomeo rappresenta questo mondo all’infimo grado”.
Il film è prodotto da Lotus Production e TIMVISION, in associazione con Altre Storie, anche distributore.
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