Gli anni amari propone un viaggio nella vita di Mario Mieli, “non semplice attivista omosessuale, ma – come ha detto il regista Andrea Adriatico alla presentazione – sostenitore di un’idea di felicità per tutti gli esseri umani”, espressione di una generazione che invita i giovani a interrogarsi in maniera diversa sul corpo, sulla sessualità, sulla socialità e sulla politica.
Dopo la morte, poco più che trentenne, per un suicidio dalle motivazioni misteriose, la figura di Mario Mieli aveva cominciato ad appannarsi. Era il 1983, l’anno di inizio dell’era Aids e anche il movimento LGBT, che pure continuava a venerare Mieli tra i suoi padri nobili, aveva ben altro a cui pensare. Ma la forza di quel giovanissimo intellettuale, attivista spregiudicato, icona trasgressiva, ma anche acuto teorico nel suo Elementi di critica omosessuale pubblicato da Einaudi nel 1977, alla base degli studi di genere, non poteva rimanere ancora a lungo nascosta.
Il film di Andrea Adriatico Gli anni amari, presentato in anteprima nella serata di pre-apertura della Festa del Cinema di Roma (leggi l’articolo di Cinecittà News) e nelle sale con I Wonder Pictures, risarcisce l’oblio degli ultimi decenni, ridando corpo e freschezza a questo protagonista degli anni ’70, entrando nella sua breve ma ricchissima biografia, e mostrandocelo con uno sguardo contemporaneo che fa inevitabilmente emergere differenze e sollecitare riflessioni anche sul presente.
Poteva essere il Milk nostrano e questo film poteva raccontare un ’eroe’ del movimento omosessuale come ha fatto Gus Van Sant. Ma Mieli era molto diverso dall’attivista americano, più imprevedibile e complesso. Per lui la lotta era prima di tutto per la liberazione sessuale tout court, anzi per una “liberazione dell’Uomo” complessiva, ai limiti dell’esoterismo. E il suo obiettivo non era ottenere semplicemente qualche legge di riconoscimento dei diritti, ma convincere l’umanità che occorreva scoprire le tante pulsioni sessuali represse per colpa della “educastrazione”: la sua tesi in filosofia morale, diventata libro e tradotta in varie lingue, mescolava Freud e Marx, mentre la sua stessa persona attraversava le identità in una “transessualità” esibita come esempio per tutti. E così anche questo film si mostra efficacemente come una vera e propria esplorazione del giovane Mario, non tanto in una lotta chiara e definitiva come in Milk, quanto nella ricerca continua di nuovi orizzonti. Un’irrequietezza che trasforma la sua nella vita esemplare di un adolescente che cerca se stesso, inseguendo i mille rivoli della sua fantasia e della realtà, tra sesso e droga, tra azione politica e provocazione, tra esoterismo e creatività.
“Non è il semplice racconto ardimentoso di una stagione di lotta per i diritti LGBT – dice il regista Andrea Adriatico – C’è lo sguardo su un ragazzo insofferente all’omologazione, sia quella, come avrebbe detto lui, ‘eteronormativa’, sia quella di un movimento omosessuale che dopo i primi atti rivoluzionari cercava forme di normalizzazione”. Il film, girato in diverse città italiane (Milano, Bologna, Sanremo, Lecce) e a Londra, risucchia lo spettatore nel vortice di un decennio di movimenti, di speranze e disillusioni, trascinato anche da una colonna sonora che mescola il rock progressivo a Raffaella Carrà. E lo mette di fronte a un movimento dei diritti in una fase ancora “rivoluzionaria” ed effervescente. Ma Gli anni amari è anche il racconto di una struggente solitudine, nella quale troviamo Mario (interpretato dall’esordiente Nicola Di Benedetto) circondato da una vivacissima coralità di personaggi con cui si confronta al tempo stesso con appassionata adesione e malinconica distanza: dalla famiglia, con i genitori (Sandra Ceccarelli e Antonio Catania) e il fratello (Lorenzo Balducci), ai tantissimi protagonisti di un’epoca colorata e alternativa, da Ivan Cattaneo (Davide Merlini) a Corrado Levi (Francesco Martino), da Angelo Pezzana (Matthieu Pastore) a Piero Fassoni (Giovanni Cordì), da Umberto Pasti (Tobia De Angelis) a Fernanda Pivano, cui dà il volto la scrittrice Grazia Verasani, che con Stefano Casi e lo stesso Adriatico ha firmato la sceneggiatura.
Gli anni amari – prodotto da Cinemare con Rai Cinema, Pavarotti International, in collaborazione con Emilia-Romagna Film Commission e Apulia Film Commission, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale Cinema – apre dunque la pagine di una storia recente da riscoprire, quella delle “checche rivoluzionarie” che a cominciare dalla manifestazione del 1972 a Sanremo riuscirono ad aprire per sempre una crepa in una società omofoba che avrebbe portato alle conquiste attuali. E al tempo stesso ci fa entrare nell’universo di un ragazzo geniale e anticonformista, tra aspirazioni e frustrazioni, seguendo un racconto che riempie di slanci e lascia infine un pizzico di quell’amarezza dichiarata anche nel titolo.
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