BERLINO – Divertente, straziante, spudorato, commovente, rivoluzionario. Sono tanti gli aggettivi che possono essere usati per descrivere Massimo Troisi. Ma Mario Martone si sofferma su uno in particolate, ribelle, che sceglie con cura per raccontare il ‘suo’ Troisi, cui ha dedicato il bellissimo film documentario Laggiù qualcuno mi ama, a Berlino nella sezione Special e nelle sale con Medusa il 19 febbraio, giorno del suo compleanno (avrebbe compiuto settant’anni) distribuito in 200 copie che diventeranno, poi, 400 dal 23 febbraio. “Massimo era ribelle, aveva questo spirito politico cui è rimasto sempre fedele. Del resto, era figlio di un luogo e di un tempo, la Napoli degli Anni ‘70, che era una vera temperie. In uno dei foglietti in cui scriveva i suoi appunti per storie future, teorizza un personaggio che non deve mai piegarsi, che non deve cedere in nessun caso al conformismo. Ecco, lui era così”.
Il documentario si distacca dai ritratti precedenti fatti all’artista e all’uomo, per dedicarsi al Troisi regista, alla sua estetica, secondo Martone profondamente impregnata di un parallelismo con la nouvelle vague francese, con tutta quella vita messa così spudoratamente nei suoi film al centro della scena. “Quella sua schiena dritta, quel non piegarsi mai, quel voler fare quello che voleva fare, tutto questo è nouvelle vague – sottolinea il regista -. Così come lo è il suo continuo interrogarsi sull’amore come qualcosa che appare e scompare e che non si raggiunge mai completamente”. Tutti temi che si riflettevano, poi, nella forma dei suoi film, nel suo modo “radicale e straordinariamente costruito” di girare. Come quando nella scena principale de Le vie del Signore sono finite (1987) nasconde nell’inquadratura il protagonista dietro una colonna, oppure quando costruisce con estrema cura e controllo anche tutti i personaggi minori, come il professore cui porta da mangiare in Scusate il ritardo (1983).
Proprio per restituire al meglio tutta questa cura registica, Martone, affiancato da Jacopo Quadri, si è dedicato in prima persona a un grande lavoro di montaggio di spezzoni memorabili dei film di Troisi, inseriti nel documentario insieme alle testimonianze di chi l’ha conosciuto e alle conversazioni con artisti la cui carriera è stata influenzata dall’ammirazione per lui. “Volevo spostare l’asse: innanzitutto guardare il suo cinema, far parlare il lavoro dell’artista, lasciarmi guidare da quello che lui metteva dentro il suo cinema. E, rispetto alle testimonianze scelte, volevo il racconto non da parte di chi l’aveva conosciuto, ma soprattutto da chi guardava il suo cinema, come lo guardavo io”.
Importante per il film l’intervento della sceneggiatrice Anna Pavignano – sua compagna di vita e carriera – cui la pellicola deve tutto il prezioso materiale inedito mostrato: i foglietti scritti nel corso degli anni su cui Massimo appuntava i suoi pensieri; le sue poesie; gli spunti di riflessione per i futuri film; l’agenda del 1976, che era sia l’anno della sua operazione che della sua nascita come artista, che, ammette Martone, “è stato molto emozionante e commovente aprire”. Le registrazioni di una specie di seduta psicoanalitica fatta per ridere con Anna, in cui però Massimo si lascia davvero andare.
Dal film viene fuori anche il suo, a volte, difficile rapporto con la critica cinematografica, da cui non si sentiva apprezzato fino in fondo. “Il racconto di Massimo del rapporto con il padre, del salto in una pozzanghera da bambino non riuscito che si vede nel film, dice di una sua fragilità rispetto ai temi dell’essere riconosciuto. Come il Massimo figlio vuole essere riconosciuto dal padre e in un certo senso soffre dell’idea di una sottovalutazione, così il Massimo adulto soffriva del non essere così tanto apprezzato dalla critica”.
Rispetto, poi, al loro rapporto personale, Martone racconta di averlo conosciuto ai tempi della presentazione del suo Morte di un matematico napoletano (1992): “Era nata un’amicizia e aleggiava l’idea di fare un film insieme. Questo, in qualche modo, è il film che non ho potuto fare allora. Troisi è stato il mio film mancato, un film che ora c’è”.
Dal 1 agosto 2023 assumerà la direzione della sezione curata e gestita in modo indipendente dall'Arsenal – Institute for Film and Video Art. Wurm succede a Cristina Nord
"Sono felicissimo del premio che ha ricevuto il film, a maggior ragione considerando che si tratta di un’opera prima”, ha detto con entusiasmo Giacomo Abbruzzese, regista di Disco Boy. “Mi è stato detto che è uno dei film più amati dalla giuria, in molti suoi aspetti: ne sono onorato"
Il documentario francese Sur l'adamant di Nicolas Philibert vince l'Orso d'oro della 73ma Berlinale, a Roter Himmel di Christian Petzold Orso d'argento Grand Jury Prize
Il sottosegretario al Ministero della Cultura Lucia Borgonzoni interviene a proposito del tema sollevato dall’attore Pierfrancesco Favino al Festival di Berlino