MARINA CICOGNA


“Le analisi e gli studi sono importantissimi, ma la creatività nasce da inventiva e passione, non dagli schemi”. Marina Cicogna, presidente di Italia Cinema, prende spunto dalla ricerca “Pellicole oltre confine” per una riflessione sul suo lavoro. “L’immagine del cinema italiano all’estero sta cambiando, ma lentamente. L’italianità è un valore positivo che fa apprezzare film come Pane e tulipani, Respiro, La vita è bella o Angela, manca però un traino, come accade nello sport. Se emerge un Alberto Tomba o una Deborah Compagnoni, tutti si mettono a sciare, diventa una moda, e alla fine emergono anche altri atleti, magari meno straordinari ma comunque validi”.

Lei ama ripetere che il cinema italiano deve tornare di moda. Ha una ricetta a questo proposito?
Bisogna creare curiosità e diffondere un’immagine, i visi del cinema italiano devono diventare familiari. Abbiamo molti giovani talenti, ma non sono riconoscibili: per questo sto valutando con “Vanity Fair” la possibilità di fare una galleria di foto dei nostri attori affidandola a grandi fotografi. Ma bisognerebbe anche incrementare la loro presenza all’estero, nei festival o in altre occasioni promozionali. Per gli americani è un obbligo contrattuale, per noi è spesso una fatica a cui sottrarsi.

Perché, secondo lei?
Non so, sembra un fatto genetico ma con Hollywood abbiamo sempre avuto un rapporto difficile. Mastroianni era troppo pigro per imparare l’inglese e ha regalato Zivago a Omar Sharif. Silvana Mangano aveva problemi familiari. Oggi potrebbe riuscirci una come Asia Argento.

Come vede la nostra presenza agli Oscar?
Aspettiamo le nomination, ma ci sono sempre artisti italiani tra i candidati. Abbiamo grandi scenografi, costumisti, direttori della fotografia e musicisti. Poi c’è Benigni. Quanto a Italia Cinema, organizzeremo una grande cena a Los Angeles che accompagnerà la nostra presenza agli Academy Awards e spero che questo diventi un appuntamento fisso.

Progetti per Berlino?
La prossima settimana è quella decisiva per noi italiani, il direttore verrà a Roma per ultimare la selezione. E’ un festival di grandissima importanza in una città che rappresenta il futuro dell’Europa… Italia Cinema organizzerà un pranzo al Guggenheim il 7 febbraio.

Passando a Venezia: come giudica la riconferma di De Hadeln?
Lo stimo, ma avrei voluto un direttore nominato per un periodo più lungo. C’è sempre una certa incertezza che ci danneggia. E spero che le serate d’apertura e chiusura stavolta siano meglio curate.

Il discorso delle certezze vale anche per Italia Cinema?
Certo, le incertezze sono lesive. Noi lavoriamo sullo slancio, l’intelligenza e la creatività, ma siamo poco finanziati. Abbiamo bisogno di sviluppare programmi a lungo termine. Per intanto cerchiamo di appoggiarci all’esterno: all’Ice, al Film Council, alle sale francesi. Ovunque ci sia spazio.

L’accordo col Film Council è una novità assoluta.
Sì, gli inglesi hanno risorse che vogliono spendere per riportare il loro pubblico in sala e per sostenere il cinema europeo, perché nonostante la lingua comune anche per loro la concorrenza degli americani è un problema. Noi siamo i primi ad “aproffittare” di queste risorse però è chiaro che dovremo concorrere al 50% alle spese.

Il ministro ha accennato anche a una divisione dei compiti di promozione tra Italia Cinema e Cinecittà Holding. Come si deve intendere?
Bisogna fare attenzione a non creare competitività tra strutture che lavorano in parallelo, tra l’altro Italia Cinema fa parte della Holding. Bisogna armonizzare ed evitare di disperdere risorse. Ma forse la divisione dei compiti può riguardare un discorso più istituzionale, con la Holding che si occupa di accordi di coproduzione, come del resto l’Anica, e Italia Cinema che lavora sulla visibilità e l’immagine.

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04 Dicembre 2002

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