Una M, una doppia M – Monroe, Marilyn, il cognome e il nome di una donna, ascesa a diva, divenuta icona: lei era Norma Jeane Baker (cognome materno) – Mortenson, così battezzata all’anagrafe di Los Angeles il 1 giugno del ’26, la stessa “Città degli Angeli” che l’ha ammirata salire nell’Olimpo hollywoodiano, ma anche essere soggetto di misteri e contraddizioni socio-politiche, e infine nido californiano della sua fine, anch’essa in bilico, un po’ com’era la sua personalità, un po’ la sua carriera, un po’ il suo ultimo tratto di vita terrena, segnato della depressione per cui, nel tardo pomeriggio del 4 agosto del ’62, nell’abitazione di Brentwood, al 12305 di Fifth Helen Drive, il suo psichiatra le va a far visita, per l’ultima volta, perché Marilyn chiude gli occhi all’esistenza nelle prime ore del mattino del 5 agosto, lasciando per sempre questa dimensione, senza che il suo mito abbia mai perso di smalto e luce nel tempo a venire, assurgendo a emblema perenne. Ricorre così l’anniversario dei 60 anni dalla sua scomparsa.
Forse più in morte che in vita Marilyn è stata protagonista delle Arti, certamente di una sterminata produzione di opere biografiche di natura varia: letteraria, pittorica, cinematografica, senza tralasciare il testo di Ben Hecht – uno dei più grandi sceneggiatori della Hollywood di Marilyn -, basato sulle dichiarazioni dell’attrice e pubblicato nel volume complessivo dal titolo My story (New York, 1974).
33 le opere da grande schermo che Marilyn ha interpretato in carriera; una decina i titoli invece in cui “compare” quale soggetto della narrazione e tre – tra gli altri – tra blockbuster, commedia italiana e futuro prossimo, hanno scelto di raccontarla nell’ultimo decennio recente, ciascuno con un’originale taglio narrativo.
È semplicemente e potentemente Marilyn (2011): insomma, basta una sola parola per il film di Simon Curtis, che sceglie il corpo e l’anima di Michelle Williams, per un ruolo da Nomination come Miglior Attrice Protagonista agli Oscar 2012. Uno spaccato biografico molto specifico sulla Monroe: il titolo originale è My Week with Marilyn proprio perché racconta la settimana del ‘56 che trascorse in Gran Bretagna per le riprese del film Il principe e la ballerina, che le valse – due anni più tardi – il David di Donatello come Miglior Attrice Straniera, e dei momenti lì passati con Colin Clark, poi autore del libro Il principe, la ballerina e io, pubblicato solo nel ’95 ma tratto dai propri diari del ’57, quando era assistente sul set del film, che oltre alla Monroe vantava nel cast anche Laurence Olivier.
È poi un tono puro, quello della commedia italiana firmata Leonardo Pieraccioni, a far di nuovo risorgere il mito, “in carne e ossa” si può dire, perché l’autore toscano – nel ruolo dell’idraulico Gualtiero – una notte decide di fare una seduta spiritica, e invoca proprio Marilyn Monroe. Sotto forma di ectoplasma, lei appare nella sua vita ma solo e soltanto lui può interagire con lei, cosa che lo induce a convincersi di soffrire di allucinazioni, tanto da decidere di rivolgersi a uno psichiatra, che lo consiglia di assecondare la presenza, ma anche invitandolo a unirsi al suo gruppo di terapia, cui partecipa anche Arnolfo, personaggio bislacco con la stessa esperienza, che aiuta Gualtiero per dar prova delle sue teorie sull’aldilà. Il film è Io & Marylin (2009) e la Marilyn-fantasma è Suzie Kennedy, attrice e modella britannica, famosa proprio per essere la sosia della Monroe.
L’ “ultima vita” di Marilyn sta per apparire sul grande schermo della Mostra di Venezia 2022, dove partecipa in Concorso: basato sull’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates (del ’99), Blonde – girato per la gran parte in bianco e nero – narra la vita della Monroe, che qui è Ana de Armas diretta dall’australiano Andrew Dominik, ruolo, quello protagonista, ufficializzato tre anni fa, dopo che nel tempo si sono susseguiti i nomi di Naomi Watts e Jessica Chastain. “Ho visto il primo montaggio dell’adattamento di Andrew Dominik ed è sorprendente, geniale, molto inquietante e – cosa forse ancora più sorprendente – è un’interpretazione completamente ‘femminista’… non credo che un altro regista abbia mai ottenuto qualcosa del genere”, ha dichiarato l’autrice dello scritto da cui l’adattamento filmico, su Netflix dal 28 settembre.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
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