Maria Chiara Arrighini ha 26 anni, è bresciana. Avrebbe voluto fare il medico, poi ha capito che la sua strada era recitare. Quasi a casa di Carolina Pavone, presentato alle Giornate degli Autori-Notti Veneziane, all’81esima Mostra del cinema di Venezia, e nelle sale dal 5 settembre con Fandango, è il suo debutto sul grande schermo. Il film racconta la storia di un incontro, tra la 20enne Caterina, che deve trovare la propria strada nella musica, e la cantante francese Mia (Lou Doillon).
Maria Chiara, chi è Caterina?
È una ragazza che si trova nella fase della vita in cui deve diventare adulta. Cerca il tuo posto nel mondo e si affida a una cantante in vetta alla sua carriera, molto più grande. Da lei cerca delle risposte.
Quanto hai sentito vicino il tuo personaggio?
Molto. Entrambe siamo in un momento in cui stiamo cercando di capire dove vogliamo stare e andare.
Ora sei qui alla Mostra di Venezia. Come ti senti?
Provo un’emozione enorme. Il mio cervello sta cercando di tradurre ciò che vede. Sto cercando di approcciarmi in maniera positiva a questa esperienza. Spero di incontrare persone con cui confrontarmi e che mi arricchiscano. Intanto mi sento protetta da Carolina ed essere qui con lei è importante. Lavorare con lei è stato incredibile. Mi ha donato la sua anima. È stata estremamente generosa con me. Già dai provini abbiamo costruito un linguaggio insieme da portare sul set.
Come ti sei avvicinata alla recitazione?
Al liceo ho fatto uno dei classici laboratori teatrali che si fanno a quell’età. Mi piaceva lavorare in gruppo, condividere quella sensazione di ansia e adrenalina con altri compagni. Per me questo è un mestiere collettivo, anche se naturalmente c’è una componente egocentrica, ma mi piace condividere le emozioni che provo con altri.
Quindi, dopo quel laboratorio, sei andata avanti con gli studi come attrice.
In realtà volevo fare il medico. Ero iscritta a Pavia alla facoltà di Biologia. Mia madre ha visto che non ero così soddisfatta della mia scelta e mi ha spinto a riflettere sul mio futuro. Ha capito che volevo fare l’attrice e così mi sono iscritta all’Accademia Silvio D’Amico.
In questo mestiere ti devi dare completamente o è bene tenere qualcosa per sé?
Devi trovare il giusto equilibrio. Ma qualcosa devi assolutamente tenere per protezione.
Ci sono tanti giovani attori oggi. Senti la competizione o la difficoltà di emergere?
Oggi si fanno più film e ci sono molte serie, quindi più opportunità. Il mercato è cambiato. È importante vivere il momento e l’esperienza. È miracoloso fare un film. L’importante è stare in pace con me stessa.
Ti sei mai pentita della scelta di interrompere gli studi in biologia?
No. Ho capito quanto contasse per me recitare. Mi ha dato modo di poter conoscere le mie emozioni e poterle usare.
Quali sono i tuoi film del cuore?
In questo momento della mia vita, dico Naissance des pieuvres e Tomboy, entrambi di Céline Sciamma. È un’autrice con cui sogno di lavorare, anche solo portarle il caffè. Anche Frances Ha di Noah Baumbach è uno dei miei film del cuore. Amo molto il cinema di Alice Rohrwacher e mi piacerebbe essere diretta anche da lei.
Sei un’amante del cinema?
Mi piace molto la sensazione che ti dà un film in sala. Sono stata all’ultima Berlinale come spettatrice. Sono partita da sola. Ho visto Gloria! di Margherita Vicario e Another End di Piero Messina, che mi sono piaciuti molto. Quello che ti dà un film su grande schermo è impareggiabile.
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