Marco Bellocchio, nel paese dei vampiri

Il regista in concorso a Venezia con Sangue del mio sangue, summa della sua opera e film spiazzante che parla dei legami di famiglia ma anche di un'Italia ancora democristiana


VENEZIA – Un film spiazzante e personalissimo, che affonda le radici nella natìa Bobbio e ripercorre l’ossessione per i temi familiari, come suggerisce anche il titolo, Sangue del mio sangue. Marco Bellocchio è in concorso a Venezia con un’opera molto libera, scossa dalla risata sarcastica e percorsa dall’esigenza di fare i conti con il passato. Un’opera doppia sul doppio, dove s’incontrano la polemica contro i poteri della Chiesa, la ribellione, le fonti letterarie, le sorelle zitelle, la pazzia, il sesso e ancora l’affarismo democristiano e la distribuzione di prebende a fini elettorali, ma anche la fine di un’epoca… C’è una summa della sua opera e della sua visione del mondo in questo lavoro ibrido che dal 9 settembre sarà in sala con 01.

Protagonista della vicenda, sdoppiata in due epoche nettamente segnate da due toni narrativi, è il figlio Pier Giorgio Bellocchio. Nella prima parte lo vediamo nel ruolo di Federico Mai, un uomo d’armi che, su richiesta della madre, arriva nel convento dove il fratello gemello, prelato, si è tolto la vita dopo essere stato sedotto da una suora, Benedetta. Federico cerca di riabilitare il fratello, ma affinché possa essere sepolto in terra consacrata bisogna dimostrare che Benedetta ha stretto un patto col diavolo e dunque la giovane monaca deve essere sottoposta alle prove dell’inquisizione, tra cui l’ordalia dell’acqua, ma nel frattempo Federico ne è affascinato a sua volta, tanto da vestire i panni del defunto. Nello stesso luogo, molti secoli dopo, un altro Federico Mai che si dichiara ispettore ministeriale, ma è in realtà un faccendiere, viene a organizzare la vendita del convento a un miliardario russo disturbando la quiete del Conte, un vampiro che gestisce l’esistenza della piccola comunità attraverso metodi massonici e favoritismi. Sangue del mio sangue è prodotto da Kavac Film con IBC Movie e Rai Cinema ed è una coproduzione tra Italia, Francia e Svizzera. 

Bellocchio, come nasce la forma frammentata del film?
E’ stata una conquista che considero definitiva. Sono partito dal finale, la liberazione della suora murata viva, ma ho capito che quella scena doveva essere spostata a conclusione e che doveva essere spiegata. E’ una forma non perfetta, non americana, che dà il senso al film. L’altra sera ho rivisto l’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, è un film che dà una risposta a tutte le domande pur essendo molto misterioso. Voglio andare per la mia strada, perché a questa età non necessariamente uno deve essere rincoglionito. A settant’anni c’è chi si rintana in modo un po’ depressivo oppure quelli che lavorano in modo compulsivo per allontanare lo spettro della morte. Io voglio fare solo quello che mi piace fare. E comunque ho appena finito di girare un altro film, Fai bei sogni

Ci sono forti punti di contatto con un film del 1982, Gli occhi, la bocca, che parte anch’esso dal suicidio del fratello gemello.
Gli occhi, la bocca si confrontava con la tragedia che ho vissuto, qui c’è un racconto più indiretto che però approfondisce quei fatti. 

Lei ha spesso lavorato a Bobbio, dove tiene ogni anno il laboratorio Fare Cinema e dove ama girare. Del resto il suo cinema partì proprio da lì con I pugni in tasca.
Bobbio è il mondo, come dice il Conte. Sangue del mio sangue nasce da questi corsi che facciamo da 20 anni e dove ogni anno giro un cortometraggio. Mi sono imbattuto, alla ricerca di location, nelle prigioni abbandonate e così mi è venuto in mente il primo episodio, quello della donna murata, ispirato alla Monaca di Monza. Noi abbiamo però ribaltato la storia. Non c’è una ricerca di correttezza storica: l’ordalia dell’acqua fu proibita dalla Chiesa già nel Medioevo, quindi nel Seicento non si usava, ma noi l’abbiamo messa lo stesso, così la prova delle lacrime, il ferro rovente, sono tutte cose in parte inventate. Il film si prende anche queste libertà. Ma, alla mia età, o rimbambisci o cerchi di divertirti.

E’ lecito vedere nella figura di Benedetta il femminile che sopravvive nonostante tutto alle costrizioni maschili. 
Io penso che gli uomini siano dei poveracci, parlo per esperienza personale e non per ideologia… La forza, la vitalità tendo ad attribuirla più alle donne.

Dopo L’ora di religione, il suo atteggiamento verso la Chiesa cattolica è più che mai polemico.
Sono un anarchico, anche se sempre più moderato. Certo, non torcerei un capello a nessuno e non mi vedo a tirare sassi insieme ai No Tav. Ma il potere mi dà fastidio. Nella mia immaginazione i preti erano così, anche se adesso abbiamo un Papa più a sinistra della sinistra, ma con cui non condivido certi principi… Adesso non fatemi passare per un convertito. Anche ne L’ora di religione una famiglia cercava di riconquistare il potere perduto attraverso la beatificazione della madre.

Appunto, la famiglia. Sangue del mio sangue è anche un film sulla famiglia e realizzato in famiglia. Oltre a suo figlio Pier Giorgio, ci sono suo fratello Alberto, sua figlia Elena, per non dire degli attori che in molti casi sono suoi collaboratori di lunga data come Roberto Herlitzka, Lidiya Liberman, Alba Rohrwacher, Filippo Timi, Toni Bertorelli… Insomma, gente di famiglia.
Il tema della famiglia, anzi dei legami di sangue, è una necessità ma anche una cosa naturale per me. Sono i figli le persone con cui uno deve fare i conti, il sangue del tuo sangue. Questo essere vissuti insieme per tanto tempo, negli stessi luoghi, i pranzi, le cene, le attese, le delusioni…. Come dice il personaggio di Bertorelli, i sovietici hanno fallito perché pensavano che i figli potessero essere gestiti dallo Stato.

Lei ha ricevuto il Leone alla carriera nel 2011 e comunque dopo Bella addormentata aveva detto di non voler più partecipare alla competizione. Come mai ha cambiato idea?
Perché il concorso comporta un’attenzione maggiore al film e siccome domani dobbiamo uscire in sala, mi è sembrato importante. E poi, paternamente, mi sono detto che avrei tolto ad altri artisti, gli attori, la possibilità teorica di vincere.

Cosa rappresenta per lei la figura del vampiro? E’ una sopravvivenza di epoche passate anche dal punto di vista politico?
Il Conte non è un vampiro vero e proprio, vive questo aspetto più che altro in modo teatrale. Il mondo cambia, persino Bobbio lentamente si muove, e bisogna uscire di scena. Il Conte lo fa inseguendo la bellezza dei giovani. Il vampiro allude anche a un vampirismo ambientale che è un apologo dell’Italia di oggi. Ma anche il dominio vampiresco finisce, non siamo eterni. 

Come si legano presente e passato?
Il dominio assoluto della Chiesa cattolica nel Seicento si conclude con un dominio democristiano che pur permettendo un benessere generale succhiava il sangue e impediva un cambiamento alla società. L’arrivo della Guardia di Finanza, è anche un riferimento al capolavoro di Gogol, L’ispettore generale, che mi ha in parte ispirato. Noi cittadini leggiamo dei corrotti o degli evasori che vengono arrestati e, infantilmente, ci sentiamo rassicurati, ma poi si scopre che i falsi invalidi sono aumentati anziché di diminuire dopo le inchieste.

Come avete costruito la bellissima scena del dialogo tra Herlitzka e Bertorelli, i due vampiri che si accaniscono contro la contemporaneità, prendendosela anche con i social network?
E’ una scena che dà un quadro stringente su tante cose che non vanno. Mi piace il tono discreto con cui loro due si dicono cose che sembrano assurde ma non lo sono, sono vere, e rappresentano il paese e il modo di governarlo. Per quanto riguarda i social network, sono un analfabeta ma il parlarsi attraverso questo oggetto e il dirsi tutta la verità, non mi sembra una qualità.

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