Con tre video – il quarto è sparito all’ultimo momento per motivi tecnici – Marco Bellocchio è uno di molti grandi autori “prestati” al digitale di questo festival di Locarno 2000. Un filo di passione, Sorelle e L’affresco (come anche Nina, fermo al missaggio) nascono come esercitazioni in tempo reale (da tre giorni a una settimana) con i giovani allievi di alcuni seminari di cinema a Roma, Rimini e Bobbio. Recuperano amori letterari (Cechov, Shakespeare, Pascoli) in chiave strettamente personale e senza cadere nell’equivoco della “falsa democrazia di quando Godard dava la macchina da presa agli operai per non cavarne niente”. Il “tocco” è accresciuto dalla presenza di gente di famiglia: i figli Piergiorgio ed Elena (5 anni), le sorelle. Con questi filmati, il regista della Balia porta a Locarno anche una notizia: sta lavorando a un nuovo progetto, L’ora di religione, storia di un padre che si ribella all’insegnamento cattolico per riscoprire quanto l’educazione religiosa sia ancora determinante. Inizio delle riprese, l’anno prossimo. A Giubileo finito. Sottotitolo “Il sorriso di mia madre” per alludere a un sorriso tanto decantato ma non così straordinario.
Perché non ne parla volentieri, del nuovo film?
Perché le notizie che sono uscite hanno messo a rischio il contratto con la Rai, decisivo assieme al fondo di garanzia. Qualcuno ha scritto che era un film contro papa Wojtyla, ma non è vero, è invece una storia molto personale in parte evocata nel video L’affresco.
Cosa racconta?
La solitudine del laico in un mondo in cui sono spariti tutti gli ideali e la spiritualità ha preso il posto degli altri valori. Non è riflusso, forse New Age… comunque questo padre si pone il problema di esonerare il figlio dall’ora di religione, ma in uno stato non confessionale dovrebbe essere l’inverso: chi vuole fare l’ora di religione, si iscriva.
Ha già pensato a un protagonista?
Sì, Sergio Castellitto. Mi diverte che proprio lui, che è appena stato Padre Pio, dia vita a una conversione al rovescio. Curiosamente a teatro sto lavorando con l’altro Padre Pio tv, Michele Placido.
Come si è trovato con il digitale?
E’ uno strumento come altri. Certo, l’occhio di una piccola telecamera si avvicina di più al tuo sguardo, mentre il dolly è una cosa superata! Come si fa ad aspettare due ore per piazzare un carrello?
Come vede il cinema italiano?
Penso che ha bisogno di approcci sempre più personali, come quello di Paolo Benvenuti che è qui in concorso. Questo tipo di azzardi interrompono il flusso indistinto di miliardi di immagini televisive. Ecco cosa manca al nostro cinema.
E la crisi come la spiega?
Il cinema corrisponde alla società in generale. Direi, marxianamente, che c’è una relazione tra struttura e sovrastruttura. E poi anche il grande cinema italiano del passato, francamente mitizzato, rispecchiava in realtà una visione collettiva, utopie e progetti politici, una sinistra che “occupava” la cultura.
Pensa che Venezia, con quattro italiani in concorso, invertirà la rotta?
Non è il numero che conta! Oggi il cinema ha una marginalità assoluta. Nel ’77 il mio Gabbiano andava in prima serata su Raiuno le sere di domenica e lunedì, oggi sarebbe impensabile.
Cosa pensa delle polemiche sul cinema assistito?
Il cinema è assistito ovunque, in tutto il mondo… e poi il denaro pubblico è anche una trappola, ti costringe a opere più classiche, tradizionali, meno coraggiose.
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