“Non faccio film politici, faccio politica con i film”, dice Marco Bechis. Cita Godard, naturalmente. Ma la militanza lo porta lontano da Milano, nell’altra sua patria. In Argentina. Lì esordì con Alambrado (1991), si fece conoscere e apprezzare con Garage Olimpo. E lì è tornato con Figli/Hijos, tragedia dei figli di desaparecidos adottati dalle famiglie dei militari fascisti. Doppio titolo per un cineasta dalla doppia nazionalità ma dall’impegno univoco e incrollabile. Per l’uscita della sua opera terza – prodotta da Amedeo Pagani e da Cecchi Gori, presentata a Venezia, distribuita ora da Medusa – ha coinvolto anche l’amico Adriano Sofri, intervistandolo nel carcere di Pisa sulle catastrofi contemporanee, 11 settembre compreso. Sofri, del resto, è anche autore della appassionata introduzione al volume Ubulibri, Argentina 1976-2001 filmare la violenza sotterranea, che raccoglie oltre alle sceneggiature dei due film anche una serie di testimonianze dei “figli”. Che continuano la loro opera di ritrovamento dell’identità e la protesta contro aguzzini che vivono indisturbati. Li vediamo nelle immagini documentaristiche girate a Buenos Aires a giugno dell’anno scorso a chiusura del film.
Il dramma psicologico del protagonista, l’ambiguità del suo rapporto con quei genitori-carnefici, resta sullo sfondo. Come mai?
Sì, non mi interessava l’aspetto psicologico: Portiere di notte esiste già. E poi entrare nel privato significa anche giustificare i carnefici e questo volevo evitarlo, come ogni soluzione consolatoria. Hollywood – che sta lavorando a un grosso progetto sullo stesso tema – avrebbe preso una strada completamente diversa.
Esiste qualche caso di “figli” che sono rimasti con i genitori adottivi?
La minima parte. Su 500 casi, una settantina sono stati ritrovati e solo quattro di loro hanno preferito restare dove stavano, mentre gli altri vivono con le nonne o con le zie. In Argentina molti hanno usato questo argomento, dicendo “lasciate stare questi ragazzi, perché rovinare una famiglia felice?”. Ma io dico che chi ha vissuto dentro un inganno simile ha assorbito un malessere interno terribile perché quelli che crede i suoi genitori sono in realtà gli assassini di suo padre e sua madre, quindi il sapere la verità non può che innescare un processo di liberazione.
Tornerai in Argentina?
A marzo, per l’uscita di Figli, e per scrivere un nuovo film, ancora una volta ambientato in America Latina.
Vedi un legame tra la vicenda dei desaparecidos e la crisi dell’Argentina di oggi?
Un legame c’è: la superficialità degli argentini, oggi come allora, il qualunquismo. In Argentina si è imposto un modello economico che non poteva reggere se non c’era il sistema politico a puntellarlo: le multinazionali hanno approfittato del paese fino alla catastrofe e lo Stato non ha difeso i cittadini. Qualcuno mi ha detto recentemente “Il Cile ha funzionato… grazie a Pinochet”. E’ aberrante, ma è così.
E’ strano che il cinema argentino contemporaneo non affronti il tema della dittatura.
I giovani non lo sentono come un tema loro, ma come qualcosa che appartiene ai quarantenni. Per molti argentini la tragedia dei desaparecidos è lontanissima, come se quei fatti fossero accaduti in Africa. Per esempio, il giovane protagonista dei miei due film, Carlos Echevarria, si è politicizzato proprio lavorando con me. Però il nuovo cinema argentino sta vivendo un bellissimo momento, con opere come La cienaga, che abbiamo appena premiato a Cuba dove ero in giuria, o Mondo grua: piccoli film legati alla realtà contemporanea.
Il pubblico argentino, che non ha ancora visto “Figli”, come ha reagito a “Garage Olimpo”?
La gente ha avuto paura di andare al cinema, in fondo i veri responsabili dell’eccidio sono ancora vivi e vegeti, così ci sono stati 40.000 coraggiosi spettatori che io considero miei amici personali. Poi Garage Olimpo ha avuto un boom in videocassetta: perché lì ognuno era libero di vederlo nell’anonimato.
Ti senti un cineasta italiano?
Mi considero anni luce lontano dal cinema italiano e in grande sintonia stilistica con quello dell’America Latina. Però sono italiano e scherzando dico che mi sento bene solo negli aeroporti.
La situazione politica italiana non ti fa venir voglia di girare un film?
Sì, ma non è facile trovare la tragedia, l’universale, che è quello che mi interessa, nella farsa italiana. La globalizzazione, che di per sé non è negativa, crea narcosi. Così in Italia, come del resto in Argentina, è assente una vera sinistra.
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