CANNES – Marcello Mastroianni, nato nel 1924 e scomparso nel ’96, c’è. C’è? C’è evocando i panni di Guido Anselmi (il personaggio di 8 ½, come c’è in quelli di Pippo Botticelli di Ginger e Fred), c’è interpretato da Chiara, sua figlia, la cui somiglianza estetica spiccata restituisce una verosimiglianza al ruolo, seppur col rischio sottilissimo dell’inciampo nel grottesco.
Marcello Mio di Christophe Honoré – in Concorso – non è un documentario, è un film di finzione, in cui tutti i protagonisti, da Catherine Deneuve a Fabriche Luchini, a Stefania Sandrelli, Melvil Poupaud, Nicole Garcia e Benjamin Biolay, interpretano se stessi, e anche Chiara interpreta – in parte – se stessa, ma soprattutto suo papà, Marcello.
“Non volevamo fare una biografia di Mastroianni, perché avevamo l’impressione di tradirne la complessità, che è intima di Chiara e Catherine. Volevamo creare un mistero, andando nella direzione dell’onirico: io adoro il cinema italiano, i film di Marcello, amo Fellini e Antonioni, e per me è stato magico come lei sia stata capace di immaginare questa follia. Ho creato un film a misura di magia, con tutti gli attori che finisco sulla frontiera tra sogno e concretezza. Era per me importante creare una galassia di personaggi, esattamente con lo spirito di generosità di una troupe cinematografica italiana, alla Fellini”, spiega Honoré, per cui “è un po’ difficile risalire all’origine del film, perché è un film che s’è trasformato. C’è stata la complicità di Chiara per costruirlo e volevamo parlare del lavoro dell’attore, dell’identità, del parallelismo tra chi si vede sullo schermo e l’identificazione con un personaggio. È un discorso sull’identità propria e altrui, e su quella dell’attore”.
Nell’anno in cui ricorre il centenario dalla nascita del magnifico attore di Fontana Liri, che il mondo intero ha celebrato e a cui tutt’oggi riserva onori altissimi, come giusto che sia, è un autore francese, con l’affiatamento della famiglia, a fare l’omaggio – fino a questo momento – più pubblico e più internazionale a Marcello Mastroianni, scegliendo questo gioco del mascheramento, usando l’impressionante somiglianza del volto della figlia che, facilmente vestita di costumi di scena che riportano a personaggi cinematografici entrati nelle memorie collettive, prova a mettere in scena suo padre, in quella che poteva essere un’interessante discesa dentro l’intimità del loro rapporto, che si percepisce essere stato intenso, ma sembra portare con sé scie di insoluto, malinconia, ricerca di un’identità autonoma – quella di Chiara, che forse non riesce a smarcarsi del tutto da quella di essere “Mastroianni”?.
Lei racconta che “Christophe mi ha parlato del film prima di scriverlo: sono stata molto intrigata, anche se poteva essere un po’ rischioso, ma era eccitante. Questo film ha comportato la messa in gioco della confidenza. Per me è stato facile capire il sistema di Honoré, partendo dalle dinamiche del teatro, con un’immersione nell’intimità e nell’onirismo: il personaggio di Catherine è stato come quello degli altri, non sanno bene come porsi di fronte a un conflitto, ma lo accettano. È un discorso sull’appartenenza al padre, alla madre, a Mastroianni e a Deneuve. Ho scoperto cose di mio papà? No, ma mi sono resa maggiormente conto di come, nel lavoro d’attrice, riesca a portare più intimamente con me mio padre”.
Un’occasione persa quella di questo film, che aveva tutte le premesse per narrare con estrosità le affinità elettive o l’alfa e l’omega di un rapporto particolarissimo come quello di un papà e della sua creatura: c’era l’opportunità di farlo in maniera originalissima avendo a disposizione un’interprete che per incredibile somiglianza poteva davvero far perdere lo spettatore dentro quel volto e creare la grandissima illusione di aver lì sul grande schermo lui, Marcello Mastroianni, e invece no. Marcello Mio non riesce a entrare né dentro i vicoli della dinamica profonda della loro relazione, né a evitare il tono didascalico delle citazioni, che possono essere elemento compartecipe di una storia come questa, ma purtroppo qui molto prevedibili e retoriche: dal primo piano di lei/lui con gli occhiali da sole che cala stringendo la sigaretta tra le labbra (evocando il personaggio di 8 ½ , lo stesso del fermo immagine usato per la locandina di Cannes 2014), al gattino bianco abbandonato, mutuato da La dolce vita, fino ovviamente alla Fontana di Trevi, evocata bizzarramente in apertura, proposta poi reale nelle sequenze finali, ma senza una simbologia persuasiva e stupefacente.
Sembra di avvertire la tristezza malinconica di Chiara Mastroianni, e c’è una frase che dice la sua mamma, Catherine Deneuve, quando l’amico Melvil Poupaud, che vedendo Chiara/Marcello in quello stato la scuote, le ripete “proteggiti”, temendo un’eccessiva fragilità in fieri, finché lui domanda alla premiere dame del cinema francese se non pensi che la figlia stia passando un momento di schizofrenia, e lei, materna, apprensiva ma sicura, risponde: “ha solo bisogno di suo padre”.
Per madame Deneuve, il suo ruolo “è stato giocare con me stessa, mi hanno permesso di esprimermi offrendomi – sin dallo scritto – molta genialità, spiritualità e intelligenza”.
Come detto, ciascun personaggio recita se stesso, così la regista Nicole Garcia interpreta Nicole Garcia che fa delle prove per un possibile film con Chiara, in cui per passarle l’intenzione che cerca nel suo personaggio le dice: “…vorrei fossi più Mastroianni e meno Deneuve”, un’affermazione che innesca il clic della trasformazione; in questa sequenza è presente, a far da compagno di scena, Fabrice Luchini, l’unico vero complice di Chiara in questa storia che – dapprima alla mamma –perfettamente nei panni di Marcello, afferma: “vorrei mi chiamassi Marcello”.
Per Luchini, “il talento di Honoré ha sublimato un sogno. Si può parlare di un’orchestra, di cui noi attori siamo stati la partitura, con lui grande creatore”.
In scena c’è anche Benjamin Biolay, marito di Chiara Mastroianni nella vita e nel film, che molto l’asseconda, ed è protagonista con lei – sempre nei panni del papà – di un concerto musicale, in cui l’attrice canta Una storia importante di Eros Ramazzotti. Ma perché? Certo, il titolo del brano dà una risposta, ma davvero troppo semplice e troppo lontana dall’allure e dal tempo di Marcello Mastroianni.
Chiara/Marcello, da Parigi arriva Roma, invitata per un’intervista televisiva, ed ecco qui far grossolano capolino la tv pubblica italiana, non tanto per il programma in sé – Da noi… a ruota libera, in una puntata fittizia ma condotta dalla reale presentatrice, Francesca Fialdini – con ospite Stefania Sandrelli, che fa Stefania Sandrelli naturalmente, quanto per il pacchiano giochino messo in scena, in cui sette uomini “travestiti” come sette personaggi iconici interpretati da Mastroianni – tra cui Chiara nei panni di quello di Ginger e Fred – si prestano a essere esaminati dall’attrice toscana, che dovrebbe battezzare il più verosimile, anzi… affermare se lì ci sia davvero Marcello Mastroianni, per decretare – come dice il film – se si tratti di “impostore o miracolo”; più che altro, purtroppo, si tratta di imbarazzo… .
Nel film ci sono poi un paio di inserti in cui Chiara/Marcello s’incontra con “polpetta … Chiaretta…”, ovvero lei bambina, due istanti che la memoria reale evidentemente le ha lasciato impressi come intimi col suo papà, altro spunto che avrebbe potuto spalancare un discorso magnifico sull’infanzia e da lì sull’evoluzione dell’io raffrontato con il proprio padre e con il nome che l’eredità le ha affidato di portare, e invece restano solo cenni circoscritti.
Infine, nell’amata Formia marina, “l’incantesimo” si scioglie, quando tutti i personaggi raggiungono lì Chiara/Marcello, ed è una scena che sfiora il “troppo intimo” con la mamma, in cui Catherine e Marcello sono davvero vicinissimi, che Chiara fugge via… dalla sua ossessione? Dalla sua malinconia? Per tuffarsi in una ritrovata identità personale?
Marcello Mio è una co-produzione franco-italiana, per il nostro Paese prodotta da BiBi Film, Lucky Red, Rai Cinema in collaborazione con il MiC e la Regione Lazio: sarà distribuito da Lucky Red.
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