L’accostamento può risultare strano, ma le parole che Macello Cesena ha riservato al capolavoro di Dario Argento Profondo rosso sono state quelle di un cinefilo appassionato, di un professionista attento, di un fan che ha ponderato con gli anni le sensazioni che il grande thriller ha suscitato in lui fin dalla prima visione. Dopo l’introduzione di De Gregori a Rosemary’s Baby è toccato infatti al comico genovese il compito di salire sul palco e presentare al Busto Arsizio Festival il film del cuore. La scelta, dice Cesena, è caduta su quello “che dopo Belfagor e L’esorcista è la cosa più spaventosa che abbia mai visto, per due motivi. In primo luogo perché è un film popolare che sul grande schermo non si vede da tempo, e poi perché è l’unico vero capolavoro italiano del thriller. In più, credo sia un’opera famosa al punto tale che in molti credono di conoscerla senza averla mai guardata integralmente. Questo perché Profondo rosso è passato spesso in televisione tagliato, inframmezzato dalle pubblicità: un vero reato per un meccanismo del terrore costruito con tale maestria”.
Da regista, l’ex membro dei Broncoviz analizza il film appassionatamente, parlando delle scelte spiazzanti di Argento e del potere disturbante del montaggio: “Profondo rosso è congegnato in maniera molto diversa dal tipo di cinema che si faceva allora in Italia. Il montaggio in questo senso è uno degli elementi usati in maniera meno ortodossa, con giustapposizione di scene che appaiono interrotte e non direttamente collegate tra loro. È una tessitura, un disegno che solo nel finale prende forma compiutamente, e che per tutta la durata del film procede con una sorprendente attenzione ai particolari. L’indagine prende le mosse dall’idea geniale – già sperimentata ne L’uccello dalle piume di cristallo – di un elemento che il protagonista sa di avere visto ma che non riesce a focalizzare. La cosa stupefacente è che Argento mostra anche al pubblico quel particolare, eppure nessuno riesce a farci caso fino alla fine”.
Il creatore di tanti fortunati personaggi televisivi (prima con Avanzi, poi con la Gialappa’s e Quelli che il calcio) ricorda inoltre che la capacità visionaria di Argento è seconda, in Italia, solo a quella di Fellini, e che Profondo rosso rappresenta l’espressione massima di questo talento: “è un film che è costato molto, ma d’altronde il produttore era il padre di Argento. Guardando il film sembra che il regista abbia voluto togliersi tutti gli sfizi e i capricci, a partire da un cast sapientemente assemblato che parte dalla scelta di David Hemmings, già protagonista di Blow-Up di Antonioni”.
Attualmente, Marcello Cesena sta lavorando proprio al thriller: sta infatti cercando i finanziamenti per dirigere una commedia da lui scritta in cui il risvolto giallo è tutt’altro che secondario.
L'attore presenta al Busto Arsizio Film Festival la sua opera prima, rivisitazione della maschera bergamasca di Arlecchino, che sarà in sala il 4 giugno. E rivela: “Il mio punto di riferimento è stato sicuramente Mario Monicelli. Ho avuto la fortuna di interpretare il suo ultimo film Le rose del deserto, e in quella occasione lui mi ha detto: qui ci sono troppe persone che si considerano autori e che pensano sia necessario essere il più possibile difficili, involuti, cervellotici. Invece bisogna fare esattamente il contrario"
Si terrà 18 al 24 aprile 2015 la tredicesima edizione del B.A. Film Festival, con un omaggio particolare al grande regista che sarà ricordato con una piccola anteprima della mostra Mario Monicelli e RAP, 100 anni di cinema composta da stampe pittoriche realizzate da Chiara Rapaccini, e da una selezione di foto dai set di Monicelli, un convegno e la proiezione di due capolavori, Risate di gioia con Anna Magnani e Totò e L'armata Brancaleone, con Vittorio Gassman, e il documentario Vicino al Colosseo c'è Monti
Un lungo, caloroso applauso ha salutato la proiezione de Il venditore di medicine di Antonio Morabito, avvenuta nell’ambito del Busto Arsizio Film Festival. Un soggetto di forte attualità per gli scandali che hanno travolto di recente l'industria farmaceutica. Ma, come spiega il produttore Amedeo Pagani: “Non volevamo che venisse fuori un lavoro militante, ma qualcosa che raccontasse una storia vera e forte senza però rinunciare al piacere di raccontare”. In sala dal 30 aprile con Luce Cinecittà
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"Cinema, televisione, cinema. L’ultima volta dell’Istituto Luce" è il titolo dell'autobiografia del critico e dirigente televisivo che è stata presentata in questi giorni al Busto Arsizio Film Festival. “Ho scritto questo libro per mettere fine a un equivoco che durava da tempo, da quando, diventato presidente dell’Istituto Luce, si cominciò a dire che non amavo il cinema perché durante il mio incarico da direttore di Raitre mi ero occupato solo di televisione"