Mann: è vero, ho scritto a un serial killer


E’ convinto che la tv via cavo americana, rispetto al cinema, offra oggi contenuti migliori: “HBO è quanto di meglio esista e David Milch è uno straordinario sceneggiatore”. Così parla il regista Michael Mann, innovatore del cinema d’azione e del ‘crime movie’, dal talento visionario, mentre scorre il trailer di Luck con Dustin Hoffman, Nick Nolte e Joan Allen. Si tratta della serie televisiva da lui diretta che ruota intorno al mondo delle corse dei cavalli, dai proprietari degli animali agli scommettitori.

Mann non ama che si parli di stile e invece afferma che il realismo è per lui un obbligo e si basa sulla ricerca di tutti i dati reali. “I miei personaggi e le situazioni vengono dalla vita vera. Ho conosciuto degli autentici ladri, quando ho girato Strade violente, scoprendo la fierezza di chi sa fare il proprio lavoro e che sono persone come noi”. Ma è vero che ha avuto una corrispondenza con un serial killer? “Ho conosciuto attraverso una corrispondenza e ho incontrato un paio di volte Dennis Wayne Wallace prima di girare Manhunter. Ho potuto così creare e capire il personaggio di Dollarhyde. Si tratta di persone che da bambini hanno subito abusi, persone danneggiate nel corso della loro infanzia e adolescenza”.

Durante la sua lezione sullo schermo scorrono alcune sequenze, scelte da Mann, dei suoi successi: Strade violente, Miami Vice, Manhunter-Frammenti di un omicidio, L’ultimo dei mohicani, Heat-La sfida, Alì e Collateral.
E il regista ricorda che per dare il massimo di verità alla scena della lunga sparatoria per le vie della metropoli, in Heat-La sfida, ha obbligato Al Pacino e De Niro a frequentare corsi con pallottole vere tenuti da reparti speciali, preparati agli scontri a fuoco.
Così come per Insider-Dietro la verità il personaggio di Jeffrey Wigand è ispirato a un ricercatore chimico realmente esistito, che si è suicidato non resistendo alle pressioni cui lo hanno sottoposto le multinazionali del tabacco dopo le sue denunce sulla sofisticazione delle sigarette.

“Il personaggio viene prima dell’attore che deve andare in profondità quando occorre mettere in scena una persona vera. Mi piace poi che un attore si misuri con un ruolo per lui inedito e dunque portarlo in una zona di confine. In quel momento è così nervoso che si mette in gioco”.
E’ tra i primi registi ad aver usato il digitale, in particolare in Collateral. “Ti consente tante cose: trasformare una notte in un pomeriggio, realizzare con gli attori lunghe sequenze, girare perfettamente in una Los Angeles notturna con il vapore che cala nelle strade e si illumina con il riflesso della luce”.

Ama John Ford, in particolare Sfida infernale, ma con un laconico ‘no’ nega di esserne influenzato. Il cinema italiano recente non lo conosce, ma apprezza molto quello del passato: Pasolini, Antonioni, Fellini, De Sica, Germi.
Infine rivela di avere quattro progetti nel cassetto, tra i quali uno ambientato nel Medioevo, “non un film con lo sguardo di oggi su quel periodo, ma come l’umanità del Medioevo vedeva se stessa e percepiva il mondo intorno”.

autore
29 Ottobre 2011

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