Esce il 13 aprile, in 70 copie con Good Films, dopo essere passato a Cannes, Mal di pietre di Nicole Garcia, mélo con Marion Cotillard tratto da un romanzo della sarda Milena Agus, con il setting spostato al Sud della Francia. Il ‘mal di pietra’ del titolo sono i calcoli renali, che diventano però qui metafora di una condizione di vita disagiata della protagonista, Gabrielle, costretta dalla vita e dalla società (siamo negli anni ’50) a un matrimonio che non la appassiona, come in una versione moderna (ma più romantica) di ‘Madame Bovary’. Ricoverata suo malgrado in clinica, intreccerà una storia d’amore clandestina con un altro paziente (Louis Garrel), che la porterà sull’orlo della follia. Alla Casa del Cinema di Roma intervengono per presentare la pellicola sia la regista che l’autrice del libro, venduto tutto il mondo in 18 lingue diverse.
“Lo lessi su consiglio di un amico – dice Garcia – è un libro breve, l’ho comprato all’aeroporto di Parigi e nel volo da Parigi a Marsiglia lo avevo già finito. Ho chiamato subito l’editore per sapere se fossero liberi i diritti. Leggo molto ma di solito non per trovare soggetti. L’unico film su sceneggiatura non originale che avevo fatto era L’Adversaire, tratto dal libro di Emmanuel Carrère su un caso di cronaca molto popolare in Francia. Ho capito che nel libro qualcosa mi riguardava, anche se non lo avevo scritto io. I tempi della letteratura e quelli del cinema sono diversi. Nel romanzo la scrittrice può parlare al presente, poi viaggiare verso il passato e il futuro, il primo intervento è stato sui tempi perché il cinema richiede un racconto più preciso e lineare. Poi, volevo restare fedele ai tempi, che sono gli anni ’50, ma non fare un film di ambientazione Italiana, quindi ho spostato l’azione nella zona delle Alpi dell’Alta Provenza, cercando di allontanarmi dal libro ma senza tradirlo. Milena, che oggi per la prima volta parla con me, mi ha fatto con questo romanzo un bellissimo regalo e io ho cercato di fare un bel trattamento sapendo che si tratta già di un’interpretazione. Gli scrittori hanno un rapporto particolare con le pellicole tratte dalle loro opere. Quando noi le giriamo loro già sono su altro. Quando abbiamo fatto la prima a Parigi le sue editrici erano nervose ma lei si è comportata come la grande scrittrice che è, mi ha detto che il film le è piaciuto e questo mi ha dato fiducia”.
“Sapevo che stavano facendo il film – dice Agus – ma non i dettagli. Il libro si basa su una storia molto personale, perché parla di mia nonna. Quando ho letto sul giornale che mia nonna sarebbe stata Marion Cotillard mi sono emozionata, ma con Nicole non ci siamo mai parlate durante la lavorazione. Ma non importa, perché tanto le avrei detto di fare esattamente quello che ha fatto. Forse, un po’, nel vedere il film mi è mancata la Sardegna, la nostra tipica spiritosaggine da cagliaritani e la tendenza a ‘farla tragica’ dell’interno. Però mi sono affezionata anche a questa nonna francese. E’ più commovente della mia, che era buffa. La sua follia faceva sorridere, questa nonna mi fa piangere, mi dispiace tanto per lei e sono contenta che rinsavisca. Io, che insegno italiano, la vedo come l’Orlando Furioso. Ariosto invita sempre a rifuggire le fissazioni e ad accettare quello che la vita ci propone, ma Orlando non ne vuole sapere, si fissa con Angelica finché qualcuno non va a recuperargli il senno. In questo caso si tratta della figura del marito. L’amore per cui la protagonista perde la testa è virtuale, non esiste. L’uomo che ama è un relitto umano, poverino. L’unica cosa che ha di affascinante è che le parla. Una cosa che nessun altro fa, con lei. Non è da pazzi desiderare l’amore, anche quello ideale. Però diventa follia quando questo non ci permette di vedere quello che abbiamo vicino, ovvero le persone che davvero ci parlano e ci amano. Sono i loro corpi e le loro parole che dobbiamo seguire. Altrimenti ci estraniamo dalla realtà e immaginiamo persone che dicano e facciano quello che vogliamo noi, ma non anche quello che vogliono loro”.
“Ho avuto fortuna – continua Garcia – che nessun regista italiano abbia preso i diritti prima di me. Della Sardegna ho recuperato il colore blu. Ora si parla d’amore in tutte le salse sui social e sui magazine. Nel libro questo amore è qualcosa di più concreto, la protagonista lo chiede addirittura a Dio. Ha un aspetto sessuale e anche sacro, mistico. Non ci sono però nessi con la Bovary che, rispetto a Gabrielle, è più malinconica, urbana, meno contadina. Il destino di questa donna incarna per me la forma dell’immaginario, la potenza creatrice di cui noi tutti siamo capaci quando abbiamo grandi aspirazioni e i nostri sentimenti ci conducono all’estremità di noi stessi – dice ancora la Garcia -. Qualche cosa nella follia delle donne mi attira, in quanto portano in loro stesse quella fragilità, quel continuo tentennare fino al rischio di una catastrofe. Ma ho sentito e visto anche uomini parlare e scrivere d’amore in maniera eccelsa. Non è una prerogativa del linguaggio femminile. Anzi, penso che bisogna evitare questo genere di stereotipi, che rischia di essere ancora più ghettizzante”.
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