Maiwenn, Riccardo e la gauche caviar


Tagli amari per Riccardo Scamarcio, che nel film di Maiwenn Polisse, Premio della giuria a Cannes 2011, aveva un ruolo ben più consistente ma si è visto sforbiciato sullo schermo. “Un po’ di delusione, anzi di rabbia vera c’è stata – confessa l’attore pugliese – ma alla fine sono contento di esserci perché questo è un lavoro importante, che con momenti vivi e leggeri parla di temi drammatici come la pedofilia e di un malessere del vivere che ci riguarda tutti”. Opera terza della bella e snob attrice francese, ormai soprattutto regista e sceneggiatrice, Polisse, ovvero “Police” come lo scriverebbe un bimbo di prima elementare, è un film duro e non piacevole, che ha diviso pubblico e critica.

 

Sembra un documentario (ma non lo è), mentre sfrutta schemi della soap televisiva per andare oltre, ricamando con bravi interpreti – tra cui Karin Viard, Marina Fois, il rapper Joeystarr, Sandrine Kiberlain – le vicende di un distretto di polizia minorile di Parigi, dove lo stress di trattare casi che coinvolgono i più indifesi, vittime di abusi o costretti al crimine, minaccia l’equilibrio psicologico degli agenti, spingendo qualcuno a gesti estremi. L’autrice l’ha scritto (insieme a Emmanuelle Bercot) dopo una full immersion nella sezione minorile e ha poi interpretato un personaggio che la ricalca quasi letteralmente, la fotografa Melissa. Incaricata dal ministero degli Interni di realizzare un reportage sulla squadra in azione nella periferia di Parigi, Belleville e dintorni, si trova sempre più coinvolta in prima persona. Tanto da lasciare il suo compagno (Scamarcio) perché si è innamorata di uno dei poliziotti (Joeystarr). “Si crea un triangolo tra due estremi, quello borghese e quello più popolare – racconta Maiwenn – la nuova relazione permette al mio personaggio di ritrovare le sue radici maghrebine e questo aspetto mi interessava molto”. Forse troppo. “Era un film nel film, una storia a parte, ed è per questo che ho deciso di tagliarla, nonostante fosse ben radicata nel film e tra l’altro ispirata a César et Rosalie di Sautet (1972) dove Yves Montand è un intellettuale pieno di orgoglio che pensa che tutto si possa comprare col denaro, compreso l’amore di Romy Schneider“. Spiega anche la scelta di Scamarcio per il ruolo del marito abbandonato: “Non volevo un attore necessariamente italiano, ma doveva essere carismatico e fiero, poco propenso a mostrare i suoi sentimenti: Riccardo mi è sembrato perfetto. La differenza linguistica non faceva che rendere le cose più interessanti”.

 

La polemica antiborghese sembra una costante per Maiwenn. Così racconta che Polisse ha provocato un certo fastidio nella gauche caviar, diciamo la sinistra del cachemire. “Troppa simpatia per i poliziotti, anche se io non volevo parlarne né bene né male, ma solo rifletterne la vita quotidiana senza pregiudizi e senza farne degli eroi. Sono persone fragili e tenere, ma a volte sono anche razzisti e omofobi. All’inizio la polizia mi ha osteggiato, perché non credeva nel progetto e anche perché Joeystarr era stato in prigione, poi mi hanno accolto bene e amato. Quando una volante mi ha fermato perché guidavo nella corsia preferenziale dei bus, appena mi hanno riconosciuto, mi hanno ringraziato… si vede che a loro è piaciuto il mio modo di raccontarli”.

 

Figlia d’arte, enfant prodige, ex compagna di Luc Besson, Maiwenn Le Besco è una che ama distinguersi. “Non ho fatto mai la cosa giusta. Ho smesso di andare a scuola a 12 anni. Non ho frequentato scuole di cinema, ho girato da sola il mio primo film, l’ho fatto come mi pareva, voglio sentirmi libera di esprimermi, senza codici, senza regole”. La Francia l’ha promossa, con vari premi e due milioni e mezzo di spettatori, ma anche molto criticata e osteggiata: “Il giornale di cinema più radicale, durante il Festival di Cannes, mi ha dedicato una copertina insieme a Joeystarr con un titolo mirabolante. Ma poi non mi hanno inserito tra i dieci film più importanti del 2011, completamente ignorata, troppo successo dà fastidio. Ai radicali francesi piacciono i perdenti, gli incompresi. Il direttore di Cannes Thierry Frémaux me l’ha spiegato bene: da quando metto pochi francesi in giuria, i nostri film hanno più chance”.

 

Una storia per certi versi autobiografica? “Come tutti i miei film, non lo nego, ma forse come tutte le opere d’arte anche se in me con meno diaframmi. Le mie cose sono imbevute di esperienze e frustrazioni, momenti che ho vissuto e momenti che avrei voluto vivere. I miei tre film da regista parlano di come essere genitori, di come essere figli, di come si resta bambini per tutta la vita, della mancanza d’amore che viene dall’infanzia. Come Truffaut, farò lo stesso film per tutta la vita”.

 

In sala dal 3 febbraio con Lucky Red, anche in versione originale con sottotitoli.

autore
24 Gennaio 2012

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