‘Magic Mike – The Last Dance’, lo spogliarello diventa musical

In sala dal 9 febbraio, l'ultimo capitolo diretto da Steven Soderbergh sfida il personaggio di Chunning Tatum e porta la trilogia alla naturale conclusione di un discorso iniziato dieci anni fa


L’ultimo film di Magic Mike, The Last Dance, è una guida all’intera trilogia. Il film di Steven Soderbergh, che torna alla regia della sua creatura dopo aver affidato il sequel a Gregory Jacobs nel 2015, è in sala dal 9 febbraio e chiude al meglio un discorso aperto dieci anni fa. 

Il regista non ha mai nascosto le metafore celate nella storia di un gruppo di stripper dediti al piacere di ampie platee femminili, ma nel decennio trascorso il modificarsi dell’attenzione nei confronti di alcuni temi hanno concesso alla trilogia di compiersi nel segno di una maggiore chiarezza.

Il gruppo protagonista scompare, resta Channing Tatum e appare Salma Hayek. Mentre il nostro Mike Lane ha abbandonato le scene ed è al verde, la ricca Maxandra lo invita con sé a Londra e gli propone di dirigere una nuova versione dello spettacolo in cartellone nel suo teatro.

Per la prima volta, un racconto che aveva per oggetto il piacere femminile e per soggetto un insieme di corpi maschili devoti a esso, si sintetizza in un unico sguardo. La Hayek rappresenta un invito all’empowerment di cui Magic Mike si è sempre fatto carico, ma relegando le destinatarie del messaggio ad anonimi campi lunghi e fuggiasche eccezioni.

Magic Mike – The Last Dance è invece la storia di una donna intrappolata in un subdolo potere maschile (il ricco marito di Maxandra) che pretende un faro, un palco, un momento per danzare e godere di un piacere richiesto – preteso – nelle forme del proprio libero desiderio. Le conseguenze sono immediate e il film si differenzia ampiamente dai precedenti.

Non c’è il cameratismo del gruppo maschile, alcuni valori precedenti vengono messi in discussione (“nessuna donna ama essere soffocata dai testiculus!”) e l’ambiente circostante ne risponde, trasformando lo strip selvaggio in un musical.

 I richiami sono all’andamento classico del genere, che negli anni ’40 si presentava su grande schermo come racconto dietro le quinte di musical teatrali. In The Last Dance, Mike e Maxandra decidono di mantenere il primo atto dell’opera già in scena a teatro, il posatissimo “Isabel Ascendant”, sorprendendo la platea con un cambio di stile improvviso, un twist raccontato in danza e segnato dalla libertà della protagonista.

Anche Magic Mike non è mai stato solo ciò che il pubblico si aspettava. La storia di un gruppo di stripper regalava mirabolanti performance corporali, ma il poster al neon popolato da corpi oliati ha sempre mentito nei confronti di un film molto più lento, abbandonato all’autoriale colorazione verdastra e in cerca dell’allegoria perfetta sulla crisi americana.

Soderbergh si prende cura delle scene, gioca con l’eros ma non rinuncia allo spettacolo dei corpi in agitazione sul palco. La costruzione dei momenti è esatta e rende quasi sempre credibile il definirsi di situazioni in cui la danza – spesso pura allusione sessuale – si impone sullo schermo. Il primo incontro tra Hayek e Tatum è ad esempio essenziale per la credibilità di Magic Mike – The Last Dance: Mike rifiuta ripetutamente la richiesta di ballare per la miliardaria in cerca di un antistress, lei insiste, propone ricompense, regole. Il ballo tra i due, balbettato e reticente, è il passaggio obbligato di una lunga sequenza di danza altrimenti gratuita.

 

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