Il Festival di Berlino la omaggerà tra poco con l’Orso d’oro alla carriera, nel frattempo Meryl Streep assapora il Golden Globe e la nomination per un nuovo Oscar, il terzo dopo quelli per Kramer contro Kramer nel 1979 e per La scelta di Sophie nel 1982. La candidatura è arrivata per la sua straordinaria immedesimazione nel personaggio di Margaret Thatcher, prima leader femminile del partito conservatore britannico nonché prima donna premier della Gran Bretagna, simbolo vincente con i suoi tre mandati (dal 1979 fino alle dimissioni del 1990) della destra più conservatrice e anticomunista. Convincente e mai sopra le righe il suo ritratto pubblico e privato, soprattutto quello della Thatcher segnata dalla demenza senile, in The Iron Lady nonostante l’intero film della regista inglese Phyllida Lloyd poggi sulle sue spalle e gli altri personaggi, dal marito alla figlia, al suo entourage politico, assumano un rilievo minore, al servizio dell’unica protagonista.
E’ il ritratto della solitudine di una donna premier energica, più che mai determinata nell’imporsi tra i tories diffidenti e ostili a causa delle sue umili origini, lei figlia di un droghiere laureata a Oxford, e nell’universo tutto maschile della politica. Ma sono proprio gli uomini, con i quali lotta e si scontra per imporsi, a crearla e distruggerla: il padre fervente conservatore, il marito premuroso e leale di cui adotta il cognome nel ruolo pubblico, i consiglieri della sua immagine e politica, la Camera dei Comuni, il suo alleato storico Geoffrey Howe le cui dimissioni da ministro determinano il suo rapido declino e il tradimento dei conservatori.
E’ il ritratto di “un essere umano a tutto tondo” dal grande trionfo alla rovinosa caduta, di una donna forte che conquista il potere e poi lo perde, che ha l’amore e poi lo perde. “Un personaggio di proporzioni shakespeariane – spiega ancora l’attrice americana – La gente considera i personaggi pubblici come dei mostri o degli dei, ma la verità è che stanno tutti nel mezzo… Quello che abbiamo cercato di illustrare, con tutta l’accuratezza di cui siamo stati capaci, sono stati i motivi dell’odio viscerale da un lato e dell’ammirazione profonda suscitati dalle sue decisioni politiche”.
Il punto di partenza della narrazione è l’ultima stagione di una donna anziana orgogliosa ma sconfitta, prigioniera di allucinazioni e ricordi. Eppure Maggie troverà la forza di vivere il presente, a cominciare dalla perdita mai accettata del marito, e di collocare in un angolo quel passato, che scorre davanti ai nostri occhi, così carico di eventi importanti. “Uno dei temi essenziali del film è il viaggio nell’universo del potere e nella riconciliazione una volta perso il potere – dice la sceneggiatrice Abi Morgan (suo lo script di Shame insieme al regista Steve McQueen) – volevo esplorare cosa significa essere una regina e perdere il potere”.
Quel che non convince del film è il giudizio sospeso sulla politica liberista della Lady di ferro, fatta di tagli feroci alla spesa pubblica, di chiusura delle miniere di carbone, della Poll Tax, per non parlare del conflitto per le isole Falkland e contro gli indipendentisti dell’Irlanda del Nord. Il racconto di questi avvenimenti è tutto affidato alle potenti immagini di repertorio e d’archivio che mostrano le proteste popolari e gli scioperi, a cominciare da quelli dei minatori.
La regista Phyllida Lloyd riconosce che il pubblico “sarà molto sorpreso da quanto apolitico è il film! E’ un po’ come chiedere ‘approvi le scelte politiche di Re Lear?’ Non si tratta di condividere o meno un programma, ma di saggiare il fervore delle sue convinzioni e la sua inflessibile ferocia”. E lo spettatore non assiste a un biopic convenzionale, spiega ancora l’autrice, l’intera storia è infatti narrata dal punto di vista della Thatcher, senza alcuna valutazione degli eventi politici. Emerge così con forza la dimensione umana e imperfetta di una grande leader “che non credeva nel consenso, credeva in se stessa come espressione assoluta di autorità”.
Il film, nelle nostre sale il 27 gennaio con Bim, ha provocato alla sua uscita in Gran Bretagna reazioni contrastanti. Leader tory vicini alla Thatcher hanno annunciato che boicotteranno il film al pari degli ex minatori di South Tyneside. Altrettanto ostili gli ex collaboratori della Lady di ferro che si sono sentiti insultati dalla scelta di puntare sul suo crudele declino. Metà dell’audience di The Iron Lady arriva da Londra e dal sud dell’Inghilterra, ma è disertato in massa nel Nord del Paese, dove l’ex primo ministro è ricordato per aver distrutto le comunità dei minatori.
Un’ex responsabile dell’istruzione del sindacato dei minatori ha detto: “Il governo guidato da Margaret Thatcher è stato responsabile della disoccupazione di massa e della povertà. Il film la ritrae come una donna coraggiosa che affronta un’èlite di uomini. Ma lei era come un uomo e non ha fatto nulla per le donne”.
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