Un film scomodo. “Perché ci vuole un anno per arrivare in questo paesino”, scherza Herbert Ballerina, al secolo Luigi Luciano. Ancora una volta complice di Maccio Capatonda e coprotagonista del suo nuovo film, Omicidio all’italiana, che un po’ scomodo lo è davvero, perché fa satira senza peli sulla lingua (è il caso di dirlo) contro la mania nazionale la cronaca nera, amplificata da giornalisti d’assalto e programmi spacca audience. Maccio qui è Piero Peluria, il primo cittadino di Acitrullo, borgo sperduto in provincia di Campobasso, abitato da 16 anime con un’età media di 61 anni, e senza banda larga. In cerca di celebrità e di un rilancio per l’economia locale, insieme al fratello Marino Peluria, anche lui pelosissimo, inscena un omicidio che non c’è mai stato, quello della contessa Ugalda Martirio in Cazzati in realtà morta soffocata da un bignè. Subito arriva Donatella Spruzzone, la conduttrice di Chi l’acciso?, con la sua troupe, e poco dopo orde di turisti a caccia di selfie, mentre il commissario inquina le prove e i politici di turno sproloquiano.
“Non ce l’ho solo con i giornalisti e con la tv, me la prendo con tutti e soprattutto con il turismo dell’orrore che esiste davvero e ha come mete Avetrana, l’Isola del Giglio o Cogne. Noi spettatori ci appassioniamo a queste storie come alle partite di calcio o agli show”, spiega Maccio, nome d’arte di Marcello Macchia. “Il personaggio della Spruzzone, interpretato da Sabrina Ferilli, è una sintesi tra la criminologa Roberta Bruzzone e la conduttrice Barbara D’Urso, tra i miei riferimenti c’erano Quarto grado e Linea gialla“. Nessuno si salva nell’universo di Omicidio all’italiana, un universo purtroppo molto più realistico di quanto si potrebbe pensare. “Salverei solo la poliziotta Sandra Pertinente, che nel nome ricorda Sandro Pertini. E poi anche il sindaco, che agisce ingenuamente”.
Uno dei punti di forza del film, prodotto da Marco Belardi insieme a Leone Film Group e Medusa, è lo strano idioma parlato dai fratelli Peluria, un dialetto pieno di invenzioni linguistiche. “Abbiamo impiegato diversi mesi a studiare la lingua, che doveva essere un ‘terronese’ strano, ma poi è venuta di getto, al primo ciak, in modo istintivo. In genere anche i nomi dei personaggi mi vengono così, persino il mio pseudonimo, Maccio Capatonda, nasce per un video che stavo girando, era un nome usa e getta, non immaginavo che sarebbe durato”.
La satira del film colpisce anche internet e le tecnologie. “Sono ancora da scrivere i dieci comandamenti dei social – afferma Ballerina – bisognerebbe regolamentarli perché ci sono troppi insulti”. Mentre Maccio lancia una riflessione e quasi una morale: “Siamo invasi da nozioni e informazioni che potremmo anche ignorare. Quando scherziamo sul fatto che la realtà non è aggiornata, stiamo dicendo una cosa vera, ormai la tecnologia è più amata della realtà stessa, la tv è più vera del vero. Questo, in fondo, è il concetto di tutto il film e per questo alla fine c’è una scelta controcorrente”. Ma l’antidoto migliore alla tecnologia è San Ceppato, il santo delle cose che non funzionano… nato come protettore delle stampanti, ti può anche salvare la vita. E non diciamo di più per non rovinare la sorpresa.
Giampaolo Letta, che distribuisce con Medusa dal 2 marzo in circa 400 copie, ribadisce la fiducia a Maccio Capatonda, di cui aveva distribuito anche il primo film Italiano medio. “Con Indivisibili abbiamo appena preso 17 candidature ai David, amiamo differenziare e sperimentare”. E nel cast ci sono due candidate ai David come Roberta Mattei e Antonia Truppo, accanto a Gigio Morra, Fabrizio Biggio (“bello il crossover tra comici, in America si usa molto”), Ninni Bruschetta, e alla guest star Sabrina Ferilli. ”Sono una divoratrice di tv e vedo un po’ tutto – ha dichiarato l’attrice all’Ansa – Certo sul piccolo schermo c’è un eccesso di cronaca nera e poi la spettacolarizzazione del dolore in chiave tragicomica. Il dolore prevede il lutto, una riservatezza che non si ritrova né nei conduttori tv, né nei parenti. Lo trovo un film sofisticato questo di Maccio Capatonda, che racconta in modo lucido di certe abitudini italiane, insomma si fa intrattenimento, ma non troppo politically correct”.
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