VENEZIA – Fu Sigmund Freud con Al di là del principio del piacere a far esplodere definitivamente il tema a lui caro della pulsione di vita e quella di morte, ovvero Eros e Thanatos: tratta il conflitto attingendo da un passato molto antico, si rifà al cosiddetto “pensiero di Empedocle”, che già trattava, nel 500 a.C circa, del dissidio tra Amore e Odio, portando, in sintesi, ad una deduzione per cui il piacere si porrebbe a servizio delle pulsioni di morte.
Tematiche come queste non hanno un tempo, se non quello dell’eternità, della perennità. È così che giungono all’oggi nel film d’esordio M, in concorso alla Settimana della Critica, firmato da Anna Eriksson, artista finlandese e cosmopolita, che debutta con questa opera nel cinema, dopo una luminosa carriera nella musica.
Un progetto, questo, con una gestazione quadriennale, durata ad intermittenza dal marzo 2013 al dicembre 2017, in cui Anna Eriksson sceglie l’iconica Marilyn Monroe come perfetta incarnazione della distorsione del connubio tra sesso e morte, che la cultura pop ha sempre sfruttato a proprio uso e consumo.
Un film macabro e iper estetico al contempo, in cui la visione stessa è intenso riflesso del soggetto: esemplare di ciò, la sequenza in cui una farfalla corvina viene innestata sotto una porzione di pelle perfettamente incisa chirurgicamente; qui, cromaticamente, al colore nero cangiante dell’animale si oppongono, e si sposano, il rosso vivo del sangue e il “bianco” dell’epidermide umana, restituendo un horror del corpo, sul corpo e nel corpo, evocativo di certo immaginario cronenberghiano.
Nella scena Anna Eriksson è Marilyn Monroe, e/o viceversa: la stessa Eriksson è anche voce fuori campo, narrante il dialogo. Calda, sensuale, non fastidiosamente femminile, con quel velo d’ambiguità nel timbro che rende un suono vocale interessante, capace di abbracciare all’ascolto creando la giusta atmosfera. L’artista finlandese è il film a trecentosessanta gradi: sceneggiatrice, montatrice, musicista, scenografa, costumista e interprete. M nasce su sceneggiatura, che però si sa non essere mai stata una gabbia, piuttosto una traccia che la Eriksson ha adattato in base alla presenza degli interpreti, nessuno professionista ma dichiaratamente scelto per la propria forte personalità. Così l’improvvisazione è stata compagna perenne di questo film, infine dimostratasi fondamentale marchio di fabbrica per l’intensità ultima ottenuta con la finalizzazione dello stesso.
Anna Eriksson non fa un ennesimo tentativo di costruire o ricostruire un personaggio, quale Marilyn Monroe, anzi il contrario: l’artista entra e esce dal personaggio, dai personaggi tutti, facendo di ciascuno di essi uno specchio della propria fantasia e della propria riflessione sulle tematiche di sesso/passione e distruzione/morte, molto prossime all’essere l’uno stimolo alla vita e quindi rinvio e allontanamento della fine, indagando così sia l’espetto del mito popolare che riflettendo sulla questione in termini più globali e umani.
L’ambientazione di M, un po’ come la sua autrice e il proprio sentire nel soggetto, è stata trans-geografica: la più parte delle scene sono state girate alla casa e nel parco di Casas das Musas a Nazare in Portogallo. Gli esterni anche nel villaggio messicano di Litibu e a Uusikaupunki, Finlandia.
Dall’immagine di Marilyn, plasmata tra mito popolare e visione personale, e con la riflessione sulla polarità connessa di sesso e morte, Anna Eriksson ha commentato il proprio film con questa dichiarazione: “Ho dovuto succhiare un sacco di cazzi ebrei prima di arrivare dove sono adesso, Abraham. Ma ogni tanto non posso fare a meno di chiedermi dove sono, sai”.
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