Presentato in concorso alla 32esima Settimana Internazionale della Critica di Venezia e premiato al 30° Tokyo International Film Festival (Special Jury Prize), Il cratere è l’esordio nella finzione di Silvia Luzi e Luca Bellino, già documentaristi e produttori (con la TFilm). I due autori ci fanno entrare nel mondo autentico, non ricostruito sul set, delle giovani speranze della canzone neomelodica, fatto di genitori che investono soldi e tempo sui figli nella speranza di un rapido successo. Un mondo che ruota intorno a sale di registrazione, studi di tv locali, provini e cd artigianali, feste dove esibirsi.
E’ in questo universo che la 13enne Sharon (Sharon Caroccia) viene catapultata dal padre Rosario (Rosario Caroccia), un ambulante (anche nella vita) che con il suo camion carico di peluche, messi in palio con la lotteria, si guadagna da vivere girando le feste di piazza. Il vinto Rosario è risoluto, fino all’ossessione, nel ricercare un riscatto grazie al talento canoro della figlia, che va comunque educato. Sharon (nella vita giovane promessa neomelodica) ha tutti i desideri, le noie e le rivolte di una ragazza della sua età. Il loro costante corpo a corpo è imprigionato da una macchina da presa che pedina entrambi, quasi in maniera esasperata, esaltando i loro volti, in primo, primissimo piano. Il film arriva in sala il 12 aprile con La Sarraz.
Quale l’idea di partenza del film?
Luca Bellino (LB). Risale a due anni e mezzo fa l’idea di raccontare la volontà di un padre di riscattarsi, di avere un riconoscimento sociale attraverso il figlio/a, e l’abbiamo ambientato in quello spazio. E’ un fenomeno che accade in tutto il mondo, che sia con lo sport, la danza, o la musica classica negli ambienti borghesi. Non volevamo però un padre che volesse arricchirsi sfruttando i figli, non era questo il nostro focus.
Silvia Luzi (SL). Il film è ambientato in questo confine, dove si ascolta la musica neomelodica, perché il riconoscimento sociale è immediato. Se la canzone piace, il cantante diventa immediatamente qualcuno.
L’idea di Rosario non è forse quella di fare soldi?
SL. No, è quella del riscatto sociale. La sua è una ribellione bislacca, straccione, chiamala come vuoi. Così come lo è quella di Sharon.
LB. Per l’adolescente è normale che ci si ribelli, per il padre avviene attraverso il figlio, ma queste due ribellioni sono destinate storicamente a scontrarsi.
Perché questo titolo?
SL. Rimanda a una costellazione, Crater, luminosissima ma visibile soltanto in primavera e dal sud del mondo. E poi i nostri due personaggi sono luminosissimi. Il cratere è contestualmente un’idea di spazio, quello spazio liquido che si trova tra Napoli e Caserta, uno spazio che vive della propria musica. Ambienti che conosciamo molto bene grazie a lavori precedenti per tv italiane e straniere.
LB. Ma il cratere è anche la famiglia, è il cortile della casa di Sharon e Rosario, insomma un cratere nel cratere.
Avete cercato dei protagonisti presi dalla vita quotidiana.
SL. Volevamo che in un film di finzione l’elemento di realtà fosse preponderante ma con una sceneggiatura già scritta. Rosario stesso ha scritto dei monologhi, ha avuto delle idee di sceneggiatura. Il lavoro, gli abiti, gli ambienti di Rosario sono autentici.
LB. Abbiamo fatto per tre mesi casting nelle televisioni private, nelle sale di registrazione, incontrando le famiglie, per poi casualmente imbatterci con Sharon e Rosario.
Siete però partiti dalla ricerca dell’adolescente?
SL. Sharon è stata un’epifania finale, una rilevazione. L’abbiamo vista a una festa di paese a questo camion di pupazzi di peluche dove Sharon cantava una canzone per attirare i possibili clienti. E subito abbiamo capito che erano quello il volto che cercavamo.
LB. In verità avevamo già scelto, il casting era chiuso, ma il talento di Sharon e Rosario ci ha sorpreso.
In particolare che cosa?
LB. Di Sharon, all’epoca aveva 12 anni, ci ha colpito il volto angelico, ma sguardo di ferro, che è rimasto anche oggi. Rosario aveva invece l’incoscienza del talento attoriale e un volto che trasmette allo stesso tempo angoscia, perseveranza e rabbia.
SL. Rosario aveva tutto già dentro ed è stato semplice tirarlo fuori, mentre con Sharon ogni scena è stata una preparazione particolare, lei in qualche modo ha studiato.
In quanto tempo avete girato Il cratere?
LB. Due, tre mesi di preparazione con loro e quattro di riprese. Ogni scena è stata provata tre, quattro giorni, discussa con loro, soprattutto con Rosario. Ma abbiamo girato in sequenza.
SL. Il lavoro è stato lungo e complesso perché entrambi hanno dovuto cambiare anche la loro indole. Sharon è gioviale di natura mentre il suo personaggio è molto riflessivo, parla poco, la sua interiorità si percepisce dagli sguardi. Con Rosario abbiamo proceduto per sottrazione, lo abbiamo trasformato in un padre dalla volontà eroica che comprime la sua rabbia e la trasmette con il volto. La loro sfida è stata quella di ribaltare se stessi.
Quale significato diamo a quelle videocamere che controllano Sharon in casa?
LB. La casa un po’ alla volta diventa, se non una prigione, un confine, perché la mancanza di riconoscimento sociale ti porta ad arroccarti, a difenderti nel tuo piccolo mondo. E’ un mix di controllo e protezione della figlia, quando l’amore degenera.
Riferimenti cinematografici?
LB. Kiarostami nel lavoro con gli adolescenti, interpreti non professionisti, ma non nello stile. Girando però non abbiamo pensato a nessun modello. Le citazioni, se ci sono, sono del tutto involontarie.
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