STRASBURGO – I Lux Film Days fanno tappa a Roma in questi giorni, con proiezioni e un incontro di approfondimento su “l’Europa del Cinema, l’Europa dei Diritti”, nella sede romana del Parlamento europeo. Ma è stata Strasburgo, la capitale mondiale del Natale a dicembre illuminata a festa e piena di turisti, a ospitare la premiazione di questa settima edizione del premio. Un premio piccolo ma importantissimo, che cerca di dare visibilità alla diversità culturale e linguistica del vecchio continente proprio attraverso i film dei 28 paesi membri. Così il Parlamento europeo, tra una decisione sulla pesca e un intervento sulle politiche agricole, ha avuto l’occasione di parlare di cinema. I Lux Days hanno permesso di proiettare i tre film finalisti, sottotitolati in 24 lingue, nei 28 stati membri, con un pubblico potenziale di 500 milioni di cittadini, mentre al Festival di Karlovy Vary, l’estate prossima, sarà annunciato il film più votato dagli spettatori. Intanto il presidente del Parlamento Martin Schulz ha consegnato mercoledì scorso il primo premio al fiammingo Felix Van Groeningen, che è risultato il più votato dagli europarlamentari. A esprimere il proprio parere sono stati circa in 200, grosso modo un terzo degli aventi diritto. “Alcuni colleghi sono scettici e pensano che dobbiamo occuparci di altre cose, non dell’arte”, spiega Isabelle Durant, vicepresidente del PE. Insieme a Doris Pack, presidente della Commissione Cultura e Istruzione, è tra i fautori più appassionati di questo premio, fresco di un accordo con il canale franco-tedesco Arte che dall’8 marzo trasmetterà il vincitore on demand per tre mesi.
Ma come funziona il Premio Lux? Dieci coproduzioni europee vengono scelte da un gruppo internazionale di esperti di cui fanno parte direttori di festival, distributori, produttori, esercenti e critici, tra cui Giorgio Gosetti delle Giornate degli Autori, il regista Radu Mihaileanu, Olivier Père e Georgette Ranucci per citarne solo alcuni. Tra i vincitori delle passate edizioni, sempre su temi forti come l’immigrazione, la povertà, i diritti negati, figurano pellicole bellissime e imperdibili: Welcome di Philippe Lioret, Le nevi del Kilimangiaro di Robert Guédiguian e, l’anno scorso, l’italiano Io sono Li di Andrea Segre. Anche quest’anno c’era un film italiano che ha sfiorato la vittoria, Miele di Valeria Golino. Ma poi ha prevalso un belga fiammingo, The Broken Circle Breakdown, che racconta il dramma di due genitori molto innamorati la cui figlioletta Maybelle si ammala di cancro. Tratto da un testo teatrale, il film assegna un ruolo fondamentale alla musica country. Fondamentale visto che il protagonista maschile Didier ha una band blue grass e condivide la sua passione con la moglie. Al suo quarto film, Van Groeningen ha già vinto una quarantina di premi con questa pellicola che in Italia si intitolerà Alabama Monroe – Una storia d’amore e uscirà con la Satine Film di Claudia Bedogni.
“I nostri tre film hanno tutti un senso politico, una complessità nell’affrontare gli argomenti che toccano”, sostiene la britannica Clio Barnard, che è autrice del terzo finalista, The Selfish Giant, rivisitazione in chiave contemporanea e fortemente realista (con interpreti presi dalla strada) della celebre novella di Oscar Wilde. Protagonisti sono due adolescenti cresciuti in un ambiente povero e degradato, a Bradford nello Yorkshire. Esclusi dalla scuola, si guadagnano da vivere vendendo pezzi di metallo che raccolgono andando in giro a cavallo. Interviene Valeria Golino, molto emozionata dall’accoglienza che Strasburgo le ha riservato per la sua opera prima coraggiosa, che parla del dilemma etico del fine vita attraverso una storia profondamente umana trattata con delicatezza e autenticità: “I temi sono importanti, ma è ancor più importante come vengono affrontati”, dice. E aggiunge: “Credo che ci sia un’identità, una qualità europea del fare cinema anche se è difficile esprimerla a parole. Rispetto al cinema americano, nel nostro trovo libertà di espressione e capacità d’innovazione. Non che i film americani non siano spesso fantastici, ma il miglior cinema europeo è secondo me innovativo in un altro senso”.
E il futuro? Van Groeningen si sta muovendo su due fronti. Dall’altro lato dell’oceano lavora all’adattamento di un romanzo americano (il suo The Broken Circle Breakdown ha avuto un notevole successo negli Usa, sempre a caccia di talenti europei), da questo lato ha avuto un finanziamento dal fondo fiammingo per produrre la storia di due fratelli che aprono un bar in Belgio. Valeria Golino non ha ancora un nuovo progetto come regista, cosciente di quanto la sfida dell’opera seconda sia decisiva, ma riflette sul cinema europeo nel suo complesso: “Sono preoccupata di come potremo resistere noi europei, nonostante le tante idee. In Italia una politica culturale terribile e umiliante ha emarginato gli artisti facendoli sentire superflui se non dannosi. Ma penso che l’Europa sia un fatto culturale e che debba essere protetta in tutti i modi. La nostra diversità può essere anche la nostra forza: basta vedere come in Grecia, in un momento particolarmente drammatico per quel paese, stiano fiorendo tanti nuovi talenti”. Grazie al BFI è al lavoro Clio Barnard. L’autrice sta elaborando l’adattamento del romanzo The Trespass di Rose Tremain, storia di un ricco e disilluso antiquario di Londra che cerca di rifarsi un vita trasferendosi nella campagna francese. Ma dal momento in cui arriva nella sua nuova casa si innescano una serie di eventi inquietanti e si consuma persino un delitto.
Quanto al Premio Lux l’anno prossimo porterà 28 giovani cinefili dell’Unione scelti dal network Europa Cinemas alle Giornate degli Autori, a vedere film e discutere di cinema. In tutte le lingue, naturalmente.
I cinque finalisti sono: Animal di Sofia Exarchou; Dahomey di Mati Diop; Flow di Gints Zilbalodis; Intercepted di Oksana Karpovych; Julie Keeps Quiet di Leonardo van Dijl
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