Inerpicato sulle pendici himalayane, c’è il Buthan, una piccola nazione che, secondo alcune ricerche, avrebbe il maggior indice di “felicità interna lorda” del mondo. Eppure i buthanesi, come tutte le popolazioni di quella parte dell’Asia, emigrano ogni anno in massa, cercando la loro felicità nelle grandi città occidentali. Il regista Pawo Choyning Dorji ha cercato la risposta a questa contraddizione in un luogo speciale, realizzando un’opera che ha saputo incantare chiunque: Lunana: il villaggio alla fine del mondo (Lunana: a Yak in the Classroom). Candidato all’Oscar come Miglior film internazionale, il primo della storia del cinema buthanese a riuscirci, sarà nelle sale italiane a partire dal 31 marzo, distribuito da Officine UBU.
Come si evince dal titolo, il film è ambientato in quello che è considerato uno dei luoghi abitati più impervi che esistano: Lunana, un villaggio di 56 anime incastonato in una valle a 4.800 metri di altezza, senza elettricità, acqua corrente o il benché minimo comfort moderno. Totalmente isolato dal mondo, l’unico modo per raggiungerlo è quello di compiere un cammino impervio di 8 giorni, sempre in salita. Il regista non si è fatto intimidire dalle circostanze e ha deciso di realizzare il film nelle location reali, grazie all’utilizzo di una troupe agile, di pannelli solari per ricaricare la strumentazione e sfruttando gli stessi abitanti come interpreti per la maggior parte dei ruoli.
Questa necessità produttiva conferisce al film un’autenticità davvero preziosa, che lo avvicina al documentario, mantenendo, però, la giusta distanza grazie a una drammaturgia semplice ma estremamente poetica e, a tratti, toccante. Il protagonista è Ugyen, un giovane maestro con la passione per il canto. Svogliato e apparentemente senza vocazione per l’insegnamento, vorrebbe solo emigrare in Australia per inseguire il sogno di diventare un musicista. Come punizione per il suo scarso impegno, viene scelto come insegnante per i bambini di Lunana, che sarà la sua ultima tappa da insegnante prima di ottenere il visto per emigrare. Dopo l’estenuante viaggio e le prime difficoltà di ambientamento, Ugyen si fa man mano ammaliare dalla filosofia di vita degli abitanti di Lunana, per i quali “i maestri toccano il futuro”, scoprendo un’insperata vocazione per il suo ruolo, un legame ancestrale con quel territorio e, infine, una via alternativa per raggiungere la felicità.
Lo scontro tra modernità e tradizione, tra materialismo e spiritualismo, sono le due visioni del mondo che nel Buthan sembrano sempre sfiorarsi e che convivono, inconsapevolmente, anche in Ugyen. Due punti di vista che vengono rappresentati nel modo in cui a Lunana viene inteso il canto: non un gesto di pura vanità, ma un dono offerto all’universo. Non è un caso che due dei tre unici attori “esterni” presenti nel film, il protagonista maschile e quella femminile, siano due cantanti professionisti.
Tutto in Lunana: il villaggio alla fine del mondo è costruito con cura e sensibilità. Il regista è stato capace di unire la sua abilità di narratore di finzione a quella di documentarista. Da una parte, una sceneggiatura delicata e minuziosa, incentrata sul cambiamento di un personaggio inizialmente scontroso e poi sempre più aperto al mondo che lo circonda; dall’altra la capacità di lasciarsi ispirare e travolgere dall’energia vitale degli abitanti locali, la maggior parte dei quali non ha mai visto niente oltre quella valle. Tutti gli attori secondari sono originali del villaggio, coltivatori e pastori senza nessun tipo di formazione, eppure risultano delle straordinarie e autentiche facce da cinema. In particolare la piccola Pem Zam, la bambina di 9 anni che interpreta se stessa, ruba letteralmente la scena. Come è possibile che una delle più talentuose ed espressive attrici bambine viste negli ultimi anni sia nata e cresciuta nel più sperduto luogo ai confini della nostra civiltà? Forse è proprio nella risposta a questa domanda che si nasconde la magia di Lunana.
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