Luigi Lo Cascio è di nuovo a fianco di Marco Tullio Giordana, regista con il quale ha esordito nel 1999 con I cento passi, per La meglio gioventù, film tv di 4 puntate prodotto per Raiuno da Angelo Barbagallo. La fiction, il cui titolo è preso in prestito dalle poesie in lingua friulana di Pier Paolo Pasolini, racconta l’Italia, dal ’66 al ’99, attraverso la vita a Torino di due fratelli, Matteo e Nicola (Alessio Boni e Luigi Lo Cascio): gli anni della contestazione, degli scioperi operai, della lotta armata, fino a Tangentopoli. I 6 mesi di set hanno coinvolto molti attori ‘figli’ dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico (oltre a Lo Cascio, Claudio Gioè, Alessio Boni, Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco) e Maya Sansa, Jasmine Trinca, Adriana Asti, Andrea Tidona, Lidia Vitale. Quanto a Lo Cascio, sarà poi sul grande schermo con Vito morte e miracoli di Alessandro Piva, film prodotto da Giovanni Veronesi attualmente in fase di montaggio.
Che tipo di percorso compie il suo personaggio, Nicola?
La parola chiave nella sua vita è “libertà”. Nicola crede che la libertà sia un bene naturale, scopre invece che è tutta da conquistare, anche attraverso dei “no”. Nel passato per amore della libertà non interviene nelle scelte sbagliate delle persone che ama, più tardi impara a farlo. Anche la sua professione di psichiatra risente di questo cambiamento: da padre buono, figura tanto rassicurante per il paziente quanto irreale, si trasforma in medico capace di sano distacco.
Per cambiare le cose Matteo, il fratello, compie una scelta radicale diventando poliziotto; Nicola invece sceglie con la psichiatria la via del compromesso.
Non sono d’accordo, Nicola a suo modo è un ribelle, crede nella lezione di Franco Basaglia che ha rivisto il confine tra normalità e malattia, e la mette subito in pratica. Basaglia ha evidenziato come l’ospedalizzazione coatta del malato psichiatrico tendesse ad annullare la percezione di sé nel paziente.
Come è arrivato alla psichiatria?
Grazie all’incontro con Giorgia (Jasmine Trinca), una ragazza affetta da disturbi mentali, sottoposta a una cura di elettroshock. Lui e il fratello, appena ventenni la tirano fuori dal manicomio, ma Giorgia verrà notata dalla polizia e riportata in ospedale. L’episodio determina anche la separazione tra i due fratelli e rivela a Nicola la sua innata predisposizione al dialogo. Si rende conto di avere la delicatezza necessaria per entrare nel mondo a prima vista impermeabile del malato mentale.
Passiamo alla coppia Vito/Toni (Sergio Rubini), protagonisti di “Vito, morte e miracoli”.
Vito, il mio personaggio, subisce continue vessazioni da parte del cognato, Toni. Il loro è un rapporto schiavo–padrone, eppure si ritrovano insieme per ricercare la macchina che hanno rubato a Vito. Insieme girano di notte per Bari, una città ambigua che rivela codici del tutto sconosciuti. Vito, a differenza di Toni, non parla il dialetto, non lo capisce e viene guidato dal cognato, una sorta di Caronte, in questo viaggio tra i dannati. Il regista ha costruito uno sguardo, quello di Vito, che è anche quello del pubblico.
Il film sarà pronto ad aprile, in tempo per il festival di Cannes?
E’ ancora presto per dirlo. Comunque il cinema italiano che riscuote successo all’estero è quello che, concentrandosi su una piccola realtà, esprime un’autentica ricerca personale, intrisa di valori universali. Basta pensare alla storia di Peppino Impastato in I cento passi.
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